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lunedì 25 aprile 2016

Verità su Giulio Regeni (Arrestano Giornalista)




Il caso del nostro Giulio Regeni, torturato e ucciso in modo disumano, diventa sempre più un caso diplomatico, il quale la famiglia e l opinione pubblica a tutti i livelli chiede ad alta voce VERITà e GIUSTIZIA.

L Egitto, paese con problematiche diffuse in molti campi e poco chiarificatore si è "scontrato" con il nostro paese dove, dando spiegazioni VERGOGNOSE, ospitando e essendo ospitata dalle istituzioni idonee al caso stesso, ha decisamente PRESO PER I FONDELLI, calpestando ancora la figura dello stesso Giulio, della famiglia e di tutto il POPOLO ITALIANO nascondendo la VERITà che tutti ancora attendiamo...

ilfattoquotidiano.it  con il titolo " Regeni, arrestata giornalista egiziana che indagò sul caso del ricercatore italiano. Raffica di fermi per cronisti e attivisti ", riporta la notizia del conseguimento dei fatti sul caso Regeni:

Basma Mostafa, autrice dell'intervista alla famiglia a casa della quale erano stati trovati i documenti del ricercatore italiano, è stata presa dalle forze dell'ordine vicino a piazza Tahrir insieme a sei colleghi. Il Cairo indaga sulla Reuters: "Ha diffuso notizie false"

Arrestata insieme ad altre sei colleghi mentre il clima in Egitto si fa sempre più teso in vista delle manifestazioni contro Al Sisi. Basma Mostafa, giornalista di 26 anni e autrice dell’intervista alla famiglia presso la quale erano stati trovati i documenti intestati al ricercatore italiano Giulio Regeni, è stata presa dalle forze dell’ordine vicino a piazza Tahrir. Intanto l’Egitto ha annunciato di aver aperto un’inchiesta contro la Reuters, l’agenzia di stampa internazionale giovedì, che citando sei fonti di polizia e di intelligence, aveva rivelato che Giulio Regeni era stato arrestato dalla polizia egiziana la sera della sua scomparsa, il 25 gennaio, e poi trasferito in un compound gestito dai servizi di sicurezza interni.

Arresti preventivi di attivisti e difensori dei diritti umani sono stati compiuti a centinaia nei giorni scorsi. Sabato 24 aprile è stato arrestato Ahmed Abdallah, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ong del Cairo che l’11 aprile prima aveva reso noti i dati relativi al fenomeno delle sparizioni forzate in Egitto dal 1° dicembre 2015 al 31 marzo 2016: 204 desaparecidos in 4 mesi, di cui 36 a dicembre, 57 a gennaio, 79 a febbraio e 32 a marzo. Di 101 scomparsi non si hanno ancora notizie.

Reuters sotto inchiesta in Egitto - Le autorità egiziane, riporta il Guardian, hanno aperto un’indagine a carico del capo dell’ufficio di corrispondenza dell’agenzia, Michael Georgy. Nella denuncia avviata dal responsabile della stazione di polizia di Azbakiya, la stessa dove l’agenzia ha riferito che il ricercatore italiano era stato portato dopo il suo arresto, si accusa la Reuters di avere pubblicato “notizie false che puntano a disturbare l’ordine pubblico” e di “diffondere indiscrezioni che danneggiano la reputazione dell’Egitto”. Il ministero degli Interni egiziano ha definito “infondate” le notizie pubblicate dall’agenzia, anticipando che le autorità “si riservavano il diritto di intraprendere azioni legali contro chi diffonde notizie false e illazioni”. Il 22 aprile il ministero aveva reso noto di avere denunciato l’agenzia di stampa con l’accusa di “avere pubblicato notizie false utilizzando fonti anonime” sul caso della morte del ricercatore italiano, trovato cadavere il 3 febbraio, il corpo straziato da segni di torture. Lo stesso presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi, si era in precedenza scagliato contro la stampa, colpevole a suo giudizio di mettere in pericolo il Paese diffondendo “bugie e accuse”.

La situazione nel Paese si fa sempre più tesa - Il Cairo ed altre città come Alessandria sono blindate con auto, camion e blindati di polizia e dell’esercito a presidio dei luoghi più noti, come piazza Tahrir, per prevenire manifestazioni di protesta annunciate per oggi da movimenti di opposizione ad Al Sisi ed al governo. Le proteste – vietate dalla legge se non autorizzate con notevole anticipo – sono contro la cessione delle due isole di Tiran e Sanafir, nel Golfo di Aqaba, all’Arabia Saudita, che ne avrebbe ottenuto la restituzione dopo 66 anni da quando,nel 1950 aveva chiesto all’Egitto di proteggerle da possibili assalti di Israele.

Mezzi della polizia e dell’esercito presidiano anche la ‘ringroad’(raccordo anulare) che circonda la capitale e la piazza Rabaa el Adawya, dove alcune centinaia di persone furono uccise il 14 agosto 2013 in scontri con la polizia durante proteste per la deposizione del presidente in carica, Mohamed Morsi, da parte dei militari.

Le manifestazioni – che sono già cominciate a Minya, nel sud, ed a Sharqeya, nel nord – sembrano dover ricalcare anche i contenuti di quella del 15 aprile scorso, quando circa 2000 persone protestarono al Cairo non solo per le isole, ma anche per chiedere che Sisi ed il governo in carica lascino il potere. Sabato discorsi molto fermi contro “le forze del male” che vogliono creare il caos e contro chi minaccia la stabilità e la sicurezza del paese sono stati diffusi in tv e sui siti dallo stesso presidente Al Sisi e dal ministro dell’interno, Mahmoud Abdel Gaffar.

Da ilfattoquotidiano.it

Ognuno di noi deve comprendere e capire, diffondendo e informandosi in prima persona, in modo da non cadere nella disinformazione che il sistema CORROTTO impone da anni.

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Gioco d Azzardo ? Comandiamo noi !!!


Il tema che riguarda tutto il mondo del gioco d azzardo, ancora oggi è un icona senza controllo alcuno, meglio dire che si fingono dei controlli efficaci o si accettano compromessi omertosi.

Dalla notizia riportata da: ilfattoquotidiano.it dal titolo " Slot, buco da 160 milioni. Concessionari e gestori non pagano la tassa",possiamo capire in modo molto chiaro alcuni aspetti che molti di noi ignorano.

La legge di stabilità del 2015 aveva introdotto una contestata tassa a carico del settore della macchinette. Il gettito atteso era 500 milioni con scadenza a ottobre scorso, ma finora ne sono arrivati molti meno. Molti non pagano in attesa di una decisione della Consulta, ma il balzello è in vigore a tutti gli effetti. Un danno all'erario, ma anche alla concorrenza

Era nata male e sta finendo peggio la tassa di 500 milioni di euro ai concessionari e gestori di slot, le cosiddette macchinette mangiasoldi piazzate ovunque, circa 400mila apparecchi che strabordano in bar, pizzerie, ristoranti, mense, aeroporti, stazioni, supermercati. I soggetti della filiera, cioè i 13 concessionari, i 4mila gestori sparsi in tutta Italia e la miriade di esercenti avevano criticato con intensità e argomentazioni diverse la misura decisa dal governo con la legge di Stabilità del 2015. Poi obtorto collo sembrava avessero deciso di pagare. Con il passare del tempo, però, molti hanno cambiato idea sottraendosi all’obbligo di sborsare la prima rata pari al 40 per cento degli importi dovuti entro aprile dell’altr’anno e la seconda con il restante 60 per cento entro ottobre.

Sono passati altri 6 mesi e ora nei conti dello Stato c’è un altro buco. «Mancano 160 milioni di euro», conferma il Direttore dei Giochi dell’Agenzia dei Monopoli, Roberto Fanelli, parlando con ilfattoquotidiano.it. Fanelli spiega: «Ovviamente cercheremo di recuperare quei soldi, almeno una parte, non ci sono scuse all’evasione, ma c’è da dire pure che quella norma che introduceva i 500 milioni di tassa non era proprio un esempio di nitidezza, meglio sarebbe stato il governo avesse aumentato già allora il prelievo unico erariale».

Forse è anche sulla base di questa considerazione che la legge di Stabilità di quest’anno ha abrogato la tassa secca dei 500 milioni sostituendola con un sistema più semplice e gestibile, proprio l’aumento del Prelievo erariale unico (Preu) applicabile agli apparecchi formalmente definiti «da divertimento e intrattenimento», cioè le classiche slot (le Awp) e le aggressive videolotteries (Vlt). Sulle prime il Preu sarà incrementato del 4,5 per cento, sulle seconde dello 0,5. Il buco nei conti, però, intanto resta anche perché sull’argomento c’è pendente una sentenza della Corte costituzionale. E molti gestori, memori della famosa supermulta di 95 miliardi di euro poi ridotta strada facendo dalla Corte dei conti a poche centinaia di milioni e addirittura abbonata a chi non aveva pagato nulla, preferiscono prendere tempo sicuri di sfangarla anche in questa occasione.

La quota annuale da versare all’Erario era diversa da concessionario a concessionario, calcolata in base al numero di macchinette. Lottomatica, per esempio, a cui fanno riferimento circa 80mila slot, avrebbe dovuto versare circa 97 milioni di euro, Sisal (38 mila slot) 46 milioni, Bplus (70mila slot) 84 milioni, Gamenet (38mila slot) 46 milioni e così via. A conti fatti c’è chi ha onorato quasi per intero l’impegno e chi si è sottratto per cifre notevoli.

In questo modo i danni provocati sono due. C’è innanzitutto il danno all’erario, cioè in fin dei conti a tutti i cittadini italiani. E poi c’è un danno per il settore dei giochi perché questa storia dà un colpo alla concorrenza, tra chi ha doverosamente rispettato la legge mettendo mano al portafoglio e risulta punito e chi della legge se ne frega risparmiando un bel po’ di soldi. Anche perché chi non ha pagato non ha subito alcun contraccolpo, neppure la temporanea sospensione dall’albo dei gestori.

La legge era congegnata in modo da far ricadere sui 13 concessionari l’onere del versamento. Avrebbe dovuto funzionare così: i concessionari avrebbero dovuto aprire una trattativa con la «filiera», cioè gestori e esercenti, in modo da concordare pro quota l’onere della tassa per poi raccoglierla e versarla fisicamente ai Monopoli. Ci sono stati concessionari che hanno pazientemente svolto il loro ruolo intavolando una consultazione con i gestori, altri che hanno in sostanza fatto orecchie da mercante. Ci sono stati inoltre concessionari che proponendo condizioni vessatorie per i gestori è come se li avessero implicitamente indotti a non pagare e altri che invece, pur non ricevendo dai gestori quanto pattuito, alla fine hanno anticipato all’Erario le somme dovute.

La tassa dei 500 milioni era stata fin dall’inizio osteggiata da quasi tutti i soggetti del mondo dei giochi. Contro la norma furono presentati numerosi ricorsi al Tar sia dai concessionari sia dai gestori con l’obiettivo di sospendere il pagamento o di bocciare del tutto la legge. Fu sollevata anche una questione di illegittimità costituzionale. Nel frattempo, però, non è stato mai emesso alcun provvedimento di sospensione, la legge è rimasta pienamente in vigore e quindi il pagamento era dovuto. A fine ottobre 2015 c’erano ancora circa 180 milioni da pagare, poi tra novembre e la fine dell’anno sono stati pagati altri 20 milioni. Da allora nessun altro pagamento è stato effettuato e quindi è rimasto un buco di 160 milioni di euro.

Notizia da:  ilfattoquotidiano.it

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La CIA imbarazza l Italia (La spia del Mossad)


La notizia riportata da  ilfattoquotidiano.it dal titolo "Marco Carrai, il suo amico è “una spia del Mossad”. L’inchiesta della Cia che imbarazza l’Italia" 
dice:

Leeden e il fedelissimo di Renzi in corsa per consulenza al coordinamento 007 si frequentano da anni. L'americano al centro di un'indagine del Pentagono. Coinvolto anche l'ambasciatore di Israele a Roma
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.

I conflitti di interesse del “fratello Marco”
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis. E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sé l’ingombrante bagaglio. Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Né si limita alle aziende estero­vestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. Il conflitto di interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello con Ledeen.

Le visite a Firenze pagate dalla Provincia
In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni. Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati. Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014 per partecipare al matrimonio dell’amico di cui Renzi era testimone. Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense. Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.

In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico aspirante 007. In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze. Insieme hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno pianificato la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Firenze lo scorso agosto, accogliendolo al suo arrivo a Peretola e presentandolo poi a Renzi con una cerimonia a Palazzo Vecchio.

Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell’Israel Defence Force. Legami importanti, che porterà con sé sotto il mantello di consulente del Dis.

Ledeen e Gilon si conoscono almeno dal 1996. Il loro rapporto è nato a Washington. E si è sviluppato e consolidato attraverso l’Aipac, l’American Israeli Public Affaire Committee: la lobby pro Israele negli Stati Uniti, la più potente al mondo, il cui sostegno è ritenuto fondamentale per arrivare alla Casa Bianca. Il 21 marzo sia il repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillary Clinton sono intervenuti al convegno Aipac. Ma per quanto ritenuta determinante dalla politica è temuta dai servizi di sicurezza americani e monitorata perché in due casi sono stati individuati all’interno della lobby uomini dei servizi segreti del Mossad. E per quanto forti siano i rapporti di amicizia tra gli Stati Uniti e Israele, il Pentagono non ama intrusioni straniere nella propria intelligence. Ed è proprio nell’ultima inchiesta, che ha individuato un flusso illegale di informazioni riservate della presidenza statunitense al Mossad, che è emerso il legame tra Ledeen e Gilon.


Rete di spie di Tel Aviv scoperta dagli americani
L’indagine, svolta dall’Fbi, è stata chiamata Aipac. Lawrence Franklin, capo analista dell’allora sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, è stato inizialmente condannato a 12 anni di carcere dal tribunale della Virginia per aver trasmesso informazioni top secret a due esponenti della lobby israeliana e a un diplomatico israeliano dell’ambasciata a Washington. Franklin ha confessato che i suoi due referenti nell’Aipac erano il direttore degli affari politici, Steven Rosen, il responsabile del desk iraniano, Keith Wiessman, e il consigliere all’ambasciata israeliana a Washington Naor Gilon. Quest’ultimo, all’inizio del processo, è rientrato a Tel Aviv prima di arrivare in Italia come ambasciatore nel 2012.

Proprio a Roma venne organizzato un incontro tra Franklin e Rhode con il faccendiere Manucher Ghorbanifar, già protagonista dello scandalo Iran-Contra. L’incontro nella capitale, ricostruisce l’inchiesta, fu organizzato da Ledeen che, secondo un report dell’Fbi, aveva un profondo legame con Franklin, almeno dal 2001: la Cia ritiene che loro due siano gli ispiratori del falso dossier sull’uranio nel Niger che venne usato dall’Amministrazione Bush per giustificare la guerra in Iraq.

L’inchiesta Aipac è stata avviata a metà anni Novanta e ripresa nel 2001, dopo l’attacco dell’11 settembre. Gli uomini dell’Fbi mettono sotto osservazione alcuni americani impegnati in lobby di Paesi del Medio Oriente, tra cui l’Aipac. A inizio 2003, durante un appostamento, gli agenti scoprono un collegamento chiave. Seguendo Steve Rosen e Keith Weissman si fermano fuori da un bistrot dove i due pranzano. A loro si aggiunge Gilon, all’epoca capo degli affari politici presso l’ambasciata israeliana a Washington e definito nel report Fbi “specialista dell’armamento nucleare iraniano”. Poi arriva Franklin, alto funzionario dell’intelligence del Pentagono.

I file “Top Secret” finiti al Mossad
Gli agenti filmano l’intero pranzo. Franklin estrae da una valigetta alcuni documenti e li appoggia sul tavolo. “Ma non vengono consegnati a nessuno”, annota l’Fbi. Lui fa il gesto di consegnarli. “Ma il suo presunto complice è troppo intelligente e si rifiuta di prenderli, chiedendo con ogni probabilità di limitarsi a informarlo sul contenuto”, testimonia un funzionario dell’intelligence, riportato da Newsweek. A casa di Franklin vengono trovati diciotto documenti top secret e riservati all’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Franklin lavorava in uno dei centri del Pentagono che più hanno promosso la guerra all’Iraq, aggirando anche il dipartimento di Stato e la stessa Cia: il segretissimo “Office of special plans” messo in piedi dal viceministro della difesa Paul Wolfowitz e dal sottosegretario Douglas Feith. Ufficio che aveva rapporti esclusivi con Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa e consigliere del presidente George W. Bush.

L’inchiesta prosegue per anni. Sottotraccia. Il processo inizierà solo nel 2006 e la prima condanna sarà emessa nel 2009. Durante le indagini gli agenti scoprono molte attività sospette che riguardano Iraq e Iran. E tutte le strade portano all’ufficio del Pentagono di Feith, nel quale Franklin lavora. Una conduce direttamente a un collaboratore di entrambi: Ledeen, definito dal Jerusalm Post “il guru neocon di Washington”. Fbi e Cia aggiungono altro al suo profilo. E svelano l’intero passato di Ledeen.

 A Roma per Israele da finto agente della Cia
Alla fine del 1970, Ledeen è a Washington come direttore esecutivo dell’Istituto ebraico per gli affari di Sicurezza Nazionale, un gruppo di lobby specializzato nel fare pressioni al Pentagono e al Congresso per far ottenere soldi e armi a Israele. Nei primi anni 80 viene allontanato e riesce ad avvicinarsi al Pentagono. In particolare a Noel Koch, il principale assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale. Ledeen chiede a Koch di fargli un contratto di consulenza come esperto di terrorismo dicendosi disposto a essere pagato solo se e quando utilizzato. Koch accetta. Ma se ne pente: agli atti del procedimento è allegata una lettera inviata nel 1988 da Koch al Comitato di giustizia della Camera, l’ufficio che sovrintende al Dipartimento di giustizia e all’Fbi.

Con la missiva Koch accusa Ledeen di essere una spia di Israele e chiede al Comitato di indagare sul suo conto spiegando di aver scoperto che Ledeen gli ha mentito e tentato “con insistenze di acquisire informazioni classificate per le quali non ha legittimo diritto”. Koch inoltre specifica che in più casi Ledeen gli chiese copia di atti “altamente segreti della Cia”. In particolare documenti relativi a spie israeliane. “Qualcuno gli ha detto cosa rubare”, ha scritto Koch ricordando di aver chiesto più volte a l’Fbi di indagare su Ledeen ma che “l’alto funzionario Oliver Revell” a cui si rivolgeva “ha sempre respinto le richieste”. La lettera ha fatto avviare le indagini: Revell era amico di Ledeen, per questo respingeva le richieste di Koch.

Nonostante questi trascorsi la “spia d’Israele” riappare nei Palazzi della sicurezza americana. È Feith ad assumerlo come consulente nel suo Ufficio Piani Speciali. Un incarico che gli viene attribuito nel 2001, dopo l’11 settembre. Tra le prima cose di cui si occupa è organizzare un incontro a Roma con alcuni dissidenti iraniani e due dipendenti di Feith: Rhode, neoconservatore e tra gli architetti della guerra in Iraq, e Franklin, ritenuto una spia israeliana.

Durante il processo a suo carico, Franklin ha indicato tra i suoi referenti anche Gilon che tornò discretamente a Tel Aviv dove, dal 2009, è stato capo gabinetto del Ministro degli Esteri, poi vicedirettore per gli Affari dell’Europa occidentale presso gli Affari Esteri. Infine, da febbraio 2012, è a Roma come ambasciatore d’Israele.

Contattato dal Fatto Quotidiano per avere informazioni sul suo coinvolgimento nell’inchiesta, nonché per sapere quali siano oggi i suoi rapporti con Ledeen e Carrai, l’ambasciatore ha preferito non rispondere e ha affidato al suo braccio destro, Amit Zarouk, questa mail: “L’intera inchiesta (giornalistica, ndr) si basa su frammenti di informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria considerazione”. I tentativi compiuti per contattare Ledeen si protraggono senza alcun esito da oltre un mese.

L’inchiesta Aipac ha creato una crisi tra Usa e Israele risolta allontanando da Washington quanti erano sospettati di avere legami con uomini dei servizi di Tel Aviv. Un’operazione di pulizia che ha poi portato il giudice della Virginia Thomas Selby Ellis a ridurre la pena a Franklin prima a otto anni per la sua collaborazione e poi a otto mesi di domiciliari e 100 ore di servizio alla comunità. Servizio, ha detto Ellis, che deve consistere nel “parlare ai giovani dell’importanza per i funzionari pubblici di rispettare la legge del proprio Stato”. Questo accade a Washington. E a Roma?

da Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2016

A voi le riflessioni.......  

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giovedì 21 aprile 2016

Asti, arresto in diretta per 3 rapinatori

Addio a Prince, re del Pop (Deceduto in circostanze misteriose nella sua casa a Minneapolis)

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