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lunedì 19 dicembre 2016

Viaggio in India, le scuse non bastano. Oggi Alessandra Moretti rimette il mandato da capogruppo Pd

Alessandra Moretti (Ansa)

 "Ho scritto ai consiglieri regionali del Pd per convocarli lunedì mattina. Durante quell'incontro intendo rimettere il mio mandato da capogruppo in Regione". Lo aveva annunciato sul suo profilo Facebook Alessandra Moretti, capogruppo del Pd in Regione Veneto, a pochi giorni dalla bufera causata dal suo viaggio in India, mentre i suoi colleghi del Consiglio regionale del Veneto erano impegnati nell'esame della legge di bilancio.    

 "Ritengo opportuno in questa fase non esporre i colleghi a strumentalizzazioni di sorta e, pur avendomi loro rinnovato la fiducia, credo sia doveroso tutelare la coesione della squadra in Regione e nel contempo dare un segnale ai cittadini", ha continuato.   
Due giorni prima prima erano arrivate le scuse, sempre via Facebook
Fonte: RaiNews




Tenta fuggire da ospedale, cade e muore

Tenta fuggire da ospedale, cade e muore

SASSARI, 19 DIC - È mistero a Sassari sulle ragioni che hanno portato alla tragica morte di un uomo di 75 anni, Giovanni Piga, di Sennori, avvenuta domenica mattina alle 6.30 nell'ospedale Santissima Annunziata. La vittima ha tentato di scappare dal reparto di Medicina interna, dove era ricoverato da alcuni giorni, utilizzando una corda realizzata con le lenzuola per calarsi da una finestra del primo piano, ma è precipitato nel vuoto e per lui non c'è stato niente da fare. All'inchiesta aperta dalla Procura di Sassari in base al rapporto dei carabinieri del Nucleo operativo, si è aggiunta l'indagine interna dell'Azienda ospedaliero-universitaria.

Piga si è allontanato dalla sua stanza e dopo aver legato la corda ha scavalcato una finestra che si affaccia sul lato posteriore della nuova ala del Santissima Annunziata. L'uomo ha perso la presa ed è precipitato per una decina di metri. Il direttore generale dell'Aou, Antonio D'Urso, e quello sanitario, Nicola Orrù, hanno avviato accertamenti interni.
Fonte: Ansa.it



Così è morto sbranato dal cinghiale


LA TRAGEDI ASENIGALLIA Disperazione e dolore a Pianello di Cagli per la morte del 62enne Rolando Caimmi avvenuta nel corso di una battuta di caccia al cinghiale in località la Romita,lungo la strada che collega Cagli alla frazione dove l’uomo, originario di Senigallia, risiedeva insieme alla moglie. Domani mattina all’obitorio di Urbino è in programma l’identificazione del cadavere. Dopo di che si procederà all’esame autoptico della salma per stabilire quali siano state le cause del decesso.

Quasi impossibile ricostruire con esattezza la dinamica della disgrazia. Con ogni probabilità l’uomo, insieme ad un compagno, si era appostato in attesa che l’animale,già ferito da un primo colpo pallettone a segno, transitasse per assestargli l’ultimo colpo. Ad un certo punto il cacciatore avrebbe preferito inoltrarsi da solo lungo il costone per stare dietro ai cani. Forse convinto di entrare in azione per cogliere l’animale di sorpresa.
Fonte: Corriere Adriatico

Stefano Callegaro denuncia Striscia la Notizia


Stefano Callegaro è pronto a dare battaglia all’equipe di Striscia la Notizia.

L’ex vincitore della quarta edizione di MasterChef Italia ha infatti dichiarato guerra ad una serie di noti volti del tg satirico, fra cui Antonio Ricci, Max Laudadio e Ficarra e Picone.
I conduttori sono accusati di «aver rovinato la vita» allo chef tormentando il vincitore del seguitissimo programma di Sky e di averlo diffamato, raccontando che era già uno chef professionista.
«A causa di Striscia la Notizia mi hanno strappato diversi contratti in faccia. Ho subito 38 appostamenti, che nemmeno Wanna Marchi, e a me la loro satira non ha fatto ridere per niente», ha dichiarato Callegaro secondo il sito Polesine24.
In precedenza l’indagine era già stata archiviata dal pm Monica Bombana con nulla di fatto, ma Callegaro — rappresentato dall'avvocato Franco Portesan di Adria —, si è opposto all’archiviazione sottolineando come il programma e i suoi autori abbiano arrecato danno alla sua immagine. Motivo per cui il caso è stato nuovamente discusso il 7 dicembre davanti al giudice per le indagini preliminari di Rovigo, Alessandra Martinelli.
Fonte: covermg.com



domenica 3 luglio 2016

Reggio Emilia, Delrio contestato al banchetto Pd per il si al referendum


Il ministro alle Infrastrutture attaccato duramente da un cittadino campano mentre, al Conad di Pieve, stava firmando per promuovere il si al voto popolare di ottobre sulla riforma costituzionale

Imboscata a Graziano Delrio mentre, tornato nella sua Reggio Emilia, stava firmando al banchetto Pd per la promozione del si al referendum costituzionale di ottobre. Mentre il ministro alle Infrastrutture stava chiacchierando con dei cittadini, all'ombra del Conad di Pieve, un uomo di origini campane si è avvicinato minaccioso.


E subito sono cominciate le urla e le contestazioni, a ritmo di "Governo di non eletti" e "chi vi dà il diritto di distruggere la Costituzione". In un primo momento il ministro ha provato a ribattere civilmente al contestatore ma, quando i toni si sono surriscaldati e sono cominciati gli insulti personali, è intervenuto anche il sindaco Luca Vecchi per allontanarlo


Fonte: gazzettadireggio.gelocal.it



  AVVIA IL VIDEO ORIGINALE QUI SOTTO E CONDIVIDI !!



mercoledì 4 maggio 2016

Intercettazioni chock per il direttore di Telejato (Pino Maniaci)


Oggi, su tutti i maggiori canali d informazioni, si parla dell intercettazioni del direttore di Telejato...

ilfattoquotidiano.it  scrive:
Il giornalista simbolo dell'antimafia dovrà anche allontanarsi dalle province di Trapani e Palermo. E' accusato di aver chiesto denaro ai primi cittadini di Partinico e Borgetto. Al telefono con l'amante: "Tu non hai capito la potenza di Pino Maniaci, ti faccio vincere quel concorso". L'inchiesta nei suoi confronti è partita per caso nel 2014 mentre i magistrati stavano conducendo le indagini sulle cosche locali.


Non potrà mettere piede a Partinico, la sua città, e dovrà anche allontanarsi dalle province di Trapani e Palermo, dove da vent’anni la sua televisione denuncia boss di Cosa nostra e imprenditori collusi. Il giudice per le indagini preliminari di Palermo, Ferdinando Sestito, ha infatti firmato un provvedimento di divieto di dimora nelle province occidentali della Sicilia per Pino Maniaci, il giornalista simbolo dell’antimafia finito sotto inchiesta per estorsione. “Persino un magistrato me l’ha detto: questa volta non me la farà pagare la mafia ma l’antimafia”, era stata l’autodifesa del direttore di Telejato quando il quotidiano La Repubblica aveva anticipato la notizia dell’indagine ai suoi danni. Le intercettazioni e gli interrogatori agli atti della procura palermitana, però, sembrano dire altro: Maniaci è accusato di aver estorto denaro ai sindaci di Partinico e Borgetto in cambio di un atteggiamento morbido del suo telegiornale nei confronti dei due politici. “C’è il sindaco che mi vuole parlare per ora lo attacco perché gli ho detto che se non si mette le corna apposto lo mando a casa, a Natale non ti faccio arrivare, te ne vai a casa e non scassi più la minchia”, dice Maniaci, intercettato, mentre parla con la sua amante, che per tre mesi è stata assunta proprio al comune di Partinico: “Quello che non hai capito tu è la potenza; tu non hai capito la potenza di Pino Maniaci! Stai tranquilla che il concorso te lo faccio vincere”, dice il direttore di Telejato al telefono mentre i carabinieri ascoltano. E’ il 14 novembre del 2014. “Quel contratto non poteva essere rinnovato ma Maniaci diceva che dovevamo farla lavorare a tutti i costi, così io e alcuni assessori ci siamo tassati per pagarla”, ha messo a verbale il primo cittadino Salvo Lo Biundo.

Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Roberto Tartaglia, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Francesco Del Bene, stavano conducendo un’indagine sulle cosche mafiose locali, che stamattina ha infatti portato all’arresto di nove presunti uomini d’onore, quando si sono imbattuti nelle intercettazioni di Maniaci. “Mi voglio fare dare 100 euro, ma dice che in tasca non ne aveva: i piccioli li deve andare a cercare a prescindere, così ne avanzo 150”, dice il direttore di Telejato, riferendosi alle somme estorte al sindaco di Partinico. “Ormai – continua – tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione: a me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi”. Agli atti dell’indagine sul giornalista, inserito nella lista dei cento eroi mondiali dell’informazione da Reporter senza frontiere, c’è però anche altro. Per esempio le prove che alcune delle intimidazioni a suo carico non arriverebbero da Cosa nostra: non sarebbe stata la mafia a bruciare la sua automobile qualche anno fa, e non sarebbero stati i boss ad impiccare i suoi cani nell’inverno del 2014. “Mi minacciano per le inchieste del mio telegiornale”, annunciava Maniaci in pompa magna. E invece le intimidazioni sarebbero arrivate dal marito della sua amante: e il giornalista ne era ben consapevole, nonostante le dichiarazioni ufficiali. “Sono tutti in fibrillazione: persino quello stronzo di Renzi mi ha telefonato”, diceva compiaciuto l’ultimo paladino dell’antimafia finito nella polvere.

Visiona il video cliccando questa immagine

“Mi sembra che la storia sia chiarissima: l’avvocato Cappellano Seminara, il dominus degli amministratori giudiziari, mi ha denunciato per stalking per fare in modo che mi intercettassero”, diceva Maniaci, dopo aver appreso di essere indagato per estorsione. Il riferimento era all’inchiesta condotta dal suo telegiornale sulla gestione dei beni confiscati a Cosa nostra: da lì è poi nata l’indagine della procura di Caltanissetta su Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, e il suo cerchio magico. “Vogliono farmela pagare”, accusava Maniaci, dato che la stessa Saguto era stata intercettata mentre parlava dell’indagine a carico del giornalista. E invece adesso si scopre che l’inchiesta su Maniaci è nata per caso nel 2014, ben prima cioè che Telejato si occupasse del business dei beni sequestrati a Cosa nostra.
ilfattoquaotidiano.it

Adesso cosa accadrà? Usciranno retroscena ? Accetterà o accetterano che escano "notizie" o "fatti" scomodi per qualcuno ?  Restate INFORMATI sui nostri canali !!

lunedì 25 aprile 2016

Verità su Giulio Regeni (Arrestano Giornalista)




Il caso del nostro Giulio Regeni, torturato e ucciso in modo disumano, diventa sempre più un caso diplomatico, il quale la famiglia e l opinione pubblica a tutti i livelli chiede ad alta voce VERITà e GIUSTIZIA.

L Egitto, paese con problematiche diffuse in molti campi e poco chiarificatore si è "scontrato" con il nostro paese dove, dando spiegazioni VERGOGNOSE, ospitando e essendo ospitata dalle istituzioni idonee al caso stesso, ha decisamente PRESO PER I FONDELLI, calpestando ancora la figura dello stesso Giulio, della famiglia e di tutto il POPOLO ITALIANO nascondendo la VERITà che tutti ancora attendiamo...

ilfattoquotidiano.it  con il titolo " Regeni, arrestata giornalista egiziana che indagò sul caso del ricercatore italiano. Raffica di fermi per cronisti e attivisti ", riporta la notizia del conseguimento dei fatti sul caso Regeni:

Basma Mostafa, autrice dell'intervista alla famiglia a casa della quale erano stati trovati i documenti del ricercatore italiano, è stata presa dalle forze dell'ordine vicino a piazza Tahrir insieme a sei colleghi. Il Cairo indaga sulla Reuters: "Ha diffuso notizie false"

Arrestata insieme ad altre sei colleghi mentre il clima in Egitto si fa sempre più teso in vista delle manifestazioni contro Al Sisi. Basma Mostafa, giornalista di 26 anni e autrice dell’intervista alla famiglia presso la quale erano stati trovati i documenti intestati al ricercatore italiano Giulio Regeni, è stata presa dalle forze dell’ordine vicino a piazza Tahrir. Intanto l’Egitto ha annunciato di aver aperto un’inchiesta contro la Reuters, l’agenzia di stampa internazionale giovedì, che citando sei fonti di polizia e di intelligence, aveva rivelato che Giulio Regeni era stato arrestato dalla polizia egiziana la sera della sua scomparsa, il 25 gennaio, e poi trasferito in un compound gestito dai servizi di sicurezza interni.

Arresti preventivi di attivisti e difensori dei diritti umani sono stati compiuti a centinaia nei giorni scorsi. Sabato 24 aprile è stato arrestato Ahmed Abdallah, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ong del Cairo che l’11 aprile prima aveva reso noti i dati relativi al fenomeno delle sparizioni forzate in Egitto dal 1° dicembre 2015 al 31 marzo 2016: 204 desaparecidos in 4 mesi, di cui 36 a dicembre, 57 a gennaio, 79 a febbraio e 32 a marzo. Di 101 scomparsi non si hanno ancora notizie.

Reuters sotto inchiesta in Egitto - Le autorità egiziane, riporta il Guardian, hanno aperto un’indagine a carico del capo dell’ufficio di corrispondenza dell’agenzia, Michael Georgy. Nella denuncia avviata dal responsabile della stazione di polizia di Azbakiya, la stessa dove l’agenzia ha riferito che il ricercatore italiano era stato portato dopo il suo arresto, si accusa la Reuters di avere pubblicato “notizie false che puntano a disturbare l’ordine pubblico” e di “diffondere indiscrezioni che danneggiano la reputazione dell’Egitto”. Il ministero degli Interni egiziano ha definito “infondate” le notizie pubblicate dall’agenzia, anticipando che le autorità “si riservavano il diritto di intraprendere azioni legali contro chi diffonde notizie false e illazioni”. Il 22 aprile il ministero aveva reso noto di avere denunciato l’agenzia di stampa con l’accusa di “avere pubblicato notizie false utilizzando fonti anonime” sul caso della morte del ricercatore italiano, trovato cadavere il 3 febbraio, il corpo straziato da segni di torture. Lo stesso presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi, si era in precedenza scagliato contro la stampa, colpevole a suo giudizio di mettere in pericolo il Paese diffondendo “bugie e accuse”.

La situazione nel Paese si fa sempre più tesa - Il Cairo ed altre città come Alessandria sono blindate con auto, camion e blindati di polizia e dell’esercito a presidio dei luoghi più noti, come piazza Tahrir, per prevenire manifestazioni di protesta annunciate per oggi da movimenti di opposizione ad Al Sisi ed al governo. Le proteste – vietate dalla legge se non autorizzate con notevole anticipo – sono contro la cessione delle due isole di Tiran e Sanafir, nel Golfo di Aqaba, all’Arabia Saudita, che ne avrebbe ottenuto la restituzione dopo 66 anni da quando,nel 1950 aveva chiesto all’Egitto di proteggerle da possibili assalti di Israele.

Mezzi della polizia e dell’esercito presidiano anche la ‘ringroad’(raccordo anulare) che circonda la capitale e la piazza Rabaa el Adawya, dove alcune centinaia di persone furono uccise il 14 agosto 2013 in scontri con la polizia durante proteste per la deposizione del presidente in carica, Mohamed Morsi, da parte dei militari.

Le manifestazioni – che sono già cominciate a Minya, nel sud, ed a Sharqeya, nel nord – sembrano dover ricalcare anche i contenuti di quella del 15 aprile scorso, quando circa 2000 persone protestarono al Cairo non solo per le isole, ma anche per chiedere che Sisi ed il governo in carica lascino il potere. Sabato discorsi molto fermi contro “le forze del male” che vogliono creare il caos e contro chi minaccia la stabilità e la sicurezza del paese sono stati diffusi in tv e sui siti dallo stesso presidente Al Sisi e dal ministro dell’interno, Mahmoud Abdel Gaffar.

Da ilfattoquotidiano.it

Ognuno di noi deve comprendere e capire, diffondendo e informandosi in prima persona, in modo da non cadere nella disinformazione che il sistema CORROTTO impone da anni.

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Gioco d Azzardo ? Comandiamo noi !!!


Il tema che riguarda tutto il mondo del gioco d azzardo, ancora oggi è un icona senza controllo alcuno, meglio dire che si fingono dei controlli efficaci o si accettano compromessi omertosi.

Dalla notizia riportata da: ilfattoquotidiano.it dal titolo " Slot, buco da 160 milioni. Concessionari e gestori non pagano la tassa",possiamo capire in modo molto chiaro alcuni aspetti che molti di noi ignorano.

La legge di stabilità del 2015 aveva introdotto una contestata tassa a carico del settore della macchinette. Il gettito atteso era 500 milioni con scadenza a ottobre scorso, ma finora ne sono arrivati molti meno. Molti non pagano in attesa di una decisione della Consulta, ma il balzello è in vigore a tutti gli effetti. Un danno all'erario, ma anche alla concorrenza

Era nata male e sta finendo peggio la tassa di 500 milioni di euro ai concessionari e gestori di slot, le cosiddette macchinette mangiasoldi piazzate ovunque, circa 400mila apparecchi che strabordano in bar, pizzerie, ristoranti, mense, aeroporti, stazioni, supermercati. I soggetti della filiera, cioè i 13 concessionari, i 4mila gestori sparsi in tutta Italia e la miriade di esercenti avevano criticato con intensità e argomentazioni diverse la misura decisa dal governo con la legge di Stabilità del 2015. Poi obtorto collo sembrava avessero deciso di pagare. Con il passare del tempo, però, molti hanno cambiato idea sottraendosi all’obbligo di sborsare la prima rata pari al 40 per cento degli importi dovuti entro aprile dell’altr’anno e la seconda con il restante 60 per cento entro ottobre.

Sono passati altri 6 mesi e ora nei conti dello Stato c’è un altro buco. «Mancano 160 milioni di euro», conferma il Direttore dei Giochi dell’Agenzia dei Monopoli, Roberto Fanelli, parlando con ilfattoquotidiano.it. Fanelli spiega: «Ovviamente cercheremo di recuperare quei soldi, almeno una parte, non ci sono scuse all’evasione, ma c’è da dire pure che quella norma che introduceva i 500 milioni di tassa non era proprio un esempio di nitidezza, meglio sarebbe stato il governo avesse aumentato già allora il prelievo unico erariale».

Forse è anche sulla base di questa considerazione che la legge di Stabilità di quest’anno ha abrogato la tassa secca dei 500 milioni sostituendola con un sistema più semplice e gestibile, proprio l’aumento del Prelievo erariale unico (Preu) applicabile agli apparecchi formalmente definiti «da divertimento e intrattenimento», cioè le classiche slot (le Awp) e le aggressive videolotteries (Vlt). Sulle prime il Preu sarà incrementato del 4,5 per cento, sulle seconde dello 0,5. Il buco nei conti, però, intanto resta anche perché sull’argomento c’è pendente una sentenza della Corte costituzionale. E molti gestori, memori della famosa supermulta di 95 miliardi di euro poi ridotta strada facendo dalla Corte dei conti a poche centinaia di milioni e addirittura abbonata a chi non aveva pagato nulla, preferiscono prendere tempo sicuri di sfangarla anche in questa occasione.

La quota annuale da versare all’Erario era diversa da concessionario a concessionario, calcolata in base al numero di macchinette. Lottomatica, per esempio, a cui fanno riferimento circa 80mila slot, avrebbe dovuto versare circa 97 milioni di euro, Sisal (38 mila slot) 46 milioni, Bplus (70mila slot) 84 milioni, Gamenet (38mila slot) 46 milioni e così via. A conti fatti c’è chi ha onorato quasi per intero l’impegno e chi si è sottratto per cifre notevoli.

In questo modo i danni provocati sono due. C’è innanzitutto il danno all’erario, cioè in fin dei conti a tutti i cittadini italiani. E poi c’è un danno per il settore dei giochi perché questa storia dà un colpo alla concorrenza, tra chi ha doverosamente rispettato la legge mettendo mano al portafoglio e risulta punito e chi della legge se ne frega risparmiando un bel po’ di soldi. Anche perché chi non ha pagato non ha subito alcun contraccolpo, neppure la temporanea sospensione dall’albo dei gestori.

La legge era congegnata in modo da far ricadere sui 13 concessionari l’onere del versamento. Avrebbe dovuto funzionare così: i concessionari avrebbero dovuto aprire una trattativa con la «filiera», cioè gestori e esercenti, in modo da concordare pro quota l’onere della tassa per poi raccoglierla e versarla fisicamente ai Monopoli. Ci sono stati concessionari che hanno pazientemente svolto il loro ruolo intavolando una consultazione con i gestori, altri che hanno in sostanza fatto orecchie da mercante. Ci sono stati inoltre concessionari che proponendo condizioni vessatorie per i gestori è come se li avessero implicitamente indotti a non pagare e altri che invece, pur non ricevendo dai gestori quanto pattuito, alla fine hanno anticipato all’Erario le somme dovute.

La tassa dei 500 milioni era stata fin dall’inizio osteggiata da quasi tutti i soggetti del mondo dei giochi. Contro la norma furono presentati numerosi ricorsi al Tar sia dai concessionari sia dai gestori con l’obiettivo di sospendere il pagamento o di bocciare del tutto la legge. Fu sollevata anche una questione di illegittimità costituzionale. Nel frattempo, però, non è stato mai emesso alcun provvedimento di sospensione, la legge è rimasta pienamente in vigore e quindi il pagamento era dovuto. A fine ottobre 2015 c’erano ancora circa 180 milioni da pagare, poi tra novembre e la fine dell’anno sono stati pagati altri 20 milioni. Da allora nessun altro pagamento è stato effettuato e quindi è rimasto un buco di 160 milioni di euro.

Notizia da:  ilfattoquotidiano.it

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La CIA imbarazza l Italia (La spia del Mossad)


La notizia riportata da  ilfattoquotidiano.it dal titolo "Marco Carrai, il suo amico è “una spia del Mossad”. L’inchiesta della Cia che imbarazza l’Italia" 
dice:

Leeden e il fedelissimo di Renzi in corsa per consulenza al coordinamento 007 si frequentano da anni. L'americano al centro di un'indagine del Pentagono. Coinvolto anche l'ambasciatore di Israele a Roma
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.

I conflitti di interesse del “fratello Marco”
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis. E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sé l’ingombrante bagaglio. Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Né si limita alle aziende estero­vestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. Il conflitto di interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello con Ledeen.

Le visite a Firenze pagate dalla Provincia
In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni. Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati. Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014 per partecipare al matrimonio dell’amico di cui Renzi era testimone. Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense. Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.

In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico aspirante 007. In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze. Insieme hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno pianificato la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Firenze lo scorso agosto, accogliendolo al suo arrivo a Peretola e presentandolo poi a Renzi con una cerimonia a Palazzo Vecchio.

Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell’Israel Defence Force. Legami importanti, che porterà con sé sotto il mantello di consulente del Dis.

Ledeen e Gilon si conoscono almeno dal 1996. Il loro rapporto è nato a Washington. E si è sviluppato e consolidato attraverso l’Aipac, l’American Israeli Public Affaire Committee: la lobby pro Israele negli Stati Uniti, la più potente al mondo, il cui sostegno è ritenuto fondamentale per arrivare alla Casa Bianca. Il 21 marzo sia il repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillary Clinton sono intervenuti al convegno Aipac. Ma per quanto ritenuta determinante dalla politica è temuta dai servizi di sicurezza americani e monitorata perché in due casi sono stati individuati all’interno della lobby uomini dei servizi segreti del Mossad. E per quanto forti siano i rapporti di amicizia tra gli Stati Uniti e Israele, il Pentagono non ama intrusioni straniere nella propria intelligence. Ed è proprio nell’ultima inchiesta, che ha individuato un flusso illegale di informazioni riservate della presidenza statunitense al Mossad, che è emerso il legame tra Ledeen e Gilon.


Rete di spie di Tel Aviv scoperta dagli americani
L’indagine, svolta dall’Fbi, è stata chiamata Aipac. Lawrence Franklin, capo analista dell’allora sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, è stato inizialmente condannato a 12 anni di carcere dal tribunale della Virginia per aver trasmesso informazioni top secret a due esponenti della lobby israeliana e a un diplomatico israeliano dell’ambasciata a Washington. Franklin ha confessato che i suoi due referenti nell’Aipac erano il direttore degli affari politici, Steven Rosen, il responsabile del desk iraniano, Keith Wiessman, e il consigliere all’ambasciata israeliana a Washington Naor Gilon. Quest’ultimo, all’inizio del processo, è rientrato a Tel Aviv prima di arrivare in Italia come ambasciatore nel 2012.

Proprio a Roma venne organizzato un incontro tra Franklin e Rhode con il faccendiere Manucher Ghorbanifar, già protagonista dello scandalo Iran-Contra. L’incontro nella capitale, ricostruisce l’inchiesta, fu organizzato da Ledeen che, secondo un report dell’Fbi, aveva un profondo legame con Franklin, almeno dal 2001: la Cia ritiene che loro due siano gli ispiratori del falso dossier sull’uranio nel Niger che venne usato dall’Amministrazione Bush per giustificare la guerra in Iraq.

L’inchiesta Aipac è stata avviata a metà anni Novanta e ripresa nel 2001, dopo l’attacco dell’11 settembre. Gli uomini dell’Fbi mettono sotto osservazione alcuni americani impegnati in lobby di Paesi del Medio Oriente, tra cui l’Aipac. A inizio 2003, durante un appostamento, gli agenti scoprono un collegamento chiave. Seguendo Steve Rosen e Keith Weissman si fermano fuori da un bistrot dove i due pranzano. A loro si aggiunge Gilon, all’epoca capo degli affari politici presso l’ambasciata israeliana a Washington e definito nel report Fbi “specialista dell’armamento nucleare iraniano”. Poi arriva Franklin, alto funzionario dell’intelligence del Pentagono.

I file “Top Secret” finiti al Mossad
Gli agenti filmano l’intero pranzo. Franklin estrae da una valigetta alcuni documenti e li appoggia sul tavolo. “Ma non vengono consegnati a nessuno”, annota l’Fbi. Lui fa il gesto di consegnarli. “Ma il suo presunto complice è troppo intelligente e si rifiuta di prenderli, chiedendo con ogni probabilità di limitarsi a informarlo sul contenuto”, testimonia un funzionario dell’intelligence, riportato da Newsweek. A casa di Franklin vengono trovati diciotto documenti top secret e riservati all’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Franklin lavorava in uno dei centri del Pentagono che più hanno promosso la guerra all’Iraq, aggirando anche il dipartimento di Stato e la stessa Cia: il segretissimo “Office of special plans” messo in piedi dal viceministro della difesa Paul Wolfowitz e dal sottosegretario Douglas Feith. Ufficio che aveva rapporti esclusivi con Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa e consigliere del presidente George W. Bush.

L’inchiesta prosegue per anni. Sottotraccia. Il processo inizierà solo nel 2006 e la prima condanna sarà emessa nel 2009. Durante le indagini gli agenti scoprono molte attività sospette che riguardano Iraq e Iran. E tutte le strade portano all’ufficio del Pentagono di Feith, nel quale Franklin lavora. Una conduce direttamente a un collaboratore di entrambi: Ledeen, definito dal Jerusalm Post “il guru neocon di Washington”. Fbi e Cia aggiungono altro al suo profilo. E svelano l’intero passato di Ledeen.

 A Roma per Israele da finto agente della Cia
Alla fine del 1970, Ledeen è a Washington come direttore esecutivo dell’Istituto ebraico per gli affari di Sicurezza Nazionale, un gruppo di lobby specializzato nel fare pressioni al Pentagono e al Congresso per far ottenere soldi e armi a Israele. Nei primi anni 80 viene allontanato e riesce ad avvicinarsi al Pentagono. In particolare a Noel Koch, il principale assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale. Ledeen chiede a Koch di fargli un contratto di consulenza come esperto di terrorismo dicendosi disposto a essere pagato solo se e quando utilizzato. Koch accetta. Ma se ne pente: agli atti del procedimento è allegata una lettera inviata nel 1988 da Koch al Comitato di giustizia della Camera, l’ufficio che sovrintende al Dipartimento di giustizia e all’Fbi.

Con la missiva Koch accusa Ledeen di essere una spia di Israele e chiede al Comitato di indagare sul suo conto spiegando di aver scoperto che Ledeen gli ha mentito e tentato “con insistenze di acquisire informazioni classificate per le quali non ha legittimo diritto”. Koch inoltre specifica che in più casi Ledeen gli chiese copia di atti “altamente segreti della Cia”. In particolare documenti relativi a spie israeliane. “Qualcuno gli ha detto cosa rubare”, ha scritto Koch ricordando di aver chiesto più volte a l’Fbi di indagare su Ledeen ma che “l’alto funzionario Oliver Revell” a cui si rivolgeva “ha sempre respinto le richieste”. La lettera ha fatto avviare le indagini: Revell era amico di Ledeen, per questo respingeva le richieste di Koch.

Nonostante questi trascorsi la “spia d’Israele” riappare nei Palazzi della sicurezza americana. È Feith ad assumerlo come consulente nel suo Ufficio Piani Speciali. Un incarico che gli viene attribuito nel 2001, dopo l’11 settembre. Tra le prima cose di cui si occupa è organizzare un incontro a Roma con alcuni dissidenti iraniani e due dipendenti di Feith: Rhode, neoconservatore e tra gli architetti della guerra in Iraq, e Franklin, ritenuto una spia israeliana.

Durante il processo a suo carico, Franklin ha indicato tra i suoi referenti anche Gilon che tornò discretamente a Tel Aviv dove, dal 2009, è stato capo gabinetto del Ministro degli Esteri, poi vicedirettore per gli Affari dell’Europa occidentale presso gli Affari Esteri. Infine, da febbraio 2012, è a Roma come ambasciatore d’Israele.

Contattato dal Fatto Quotidiano per avere informazioni sul suo coinvolgimento nell’inchiesta, nonché per sapere quali siano oggi i suoi rapporti con Ledeen e Carrai, l’ambasciatore ha preferito non rispondere e ha affidato al suo braccio destro, Amit Zarouk, questa mail: “L’intera inchiesta (giornalistica, ndr) si basa su frammenti di informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria considerazione”. I tentativi compiuti per contattare Ledeen si protraggono senza alcun esito da oltre un mese.

L’inchiesta Aipac ha creato una crisi tra Usa e Israele risolta allontanando da Washington quanti erano sospettati di avere legami con uomini dei servizi di Tel Aviv. Un’operazione di pulizia che ha poi portato il giudice della Virginia Thomas Selby Ellis a ridurre la pena a Franklin prima a otto anni per la sua collaborazione e poi a otto mesi di domiciliari e 100 ore di servizio alla comunità. Servizio, ha detto Ellis, che deve consistere nel “parlare ai giovani dell’importanza per i funzionari pubblici di rispettare la legge del proprio Stato”. Questo accade a Washington. E a Roma?

da Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2016

A voi le riflessioni.......  

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giovedì 21 aprile 2016

Asti, arresto in diretta per 3 rapinatori

Addio a Prince, re del Pop (Deceduto in circostanze misteriose nella sua casa a Minneapolis)

mercoledì 9 marzo 2016

Il suo nome era Enrico Mattei [VIDEO]



Il suo nome era Enrico Mattei. 

Se vuoi ricordare quest'uomo e permettere a tutti di


conoscere la sua storia, CONDIVIDI il video!


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Prodotti cinesi pericolosissimi, ecco perchè...



In questi ultimi periodi la Guardia di Finanza ha sequestrato molto materiale PERICOLOSO,proveniente dalla Cina, in questo video vengono date spiegazioni importantissime.

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Il "pignoramento" di palazzo Chigi! (VIDEO)


Cittadini manifestano davanti al palazzo Chigi con il movimento 5 stelle.
Dopo il grande FURTO nei confronti degli stessi, la popolazione chiede la restituzione dei propri soldi, una vita di sacrifici tolti in un attimo da uno "Stato" CORROTTO che continua a salvare le stesse banche TRUFFALDINE.
Il popolo stanco esprime il suo disgusto e la propria rabbia espandendo a TUTTI il dolore e proprio stato d animo.

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venerdì 12 febbraio 2016

Cina, in ginocchio davanti ai genitori Si accende dibattito sulla pietà filiale


Questa immagine arriva dallo Shandong, una delle tante province cinesi dalle quali centinaia di milioni di giovani sono partiti per andare nelle grandi città a lavorare: perché anche «arricchirsi è glorioso», disse Deng Xiaoping lanciando l’economia di mercato. L’uomo inginocchiato ha 46 anni, si chiama Zhang Jinli, ha un buon impiego a Pechino e negli ultimi quattro anni non era tornato mai a casa a Zibo dai genitori. Questa volta Zhang ha seguito la tradizione: è andato a visitare i suoi per il Capodanno lunare. Alla stazione dei treni, di fronte al padre e alla madre, quest’uomo sposato e diventato a sua volta padre, si è messo in ginocchio, poi si è prostrato, chiedendo perdono per la sua lunga assenza.  Qualcuno ha visto la scena, l’ha fotografata con lo smartphone e l’ha inviata al giornale locale, il "Qilu Evening Post" (il citizen journalism è vivace anche in Cina). Il quotidiano ha ricostruito la storia, ha accertato che il padre di Zhang ha ottant’anni, che la donna al suo fianco è la seconda moglie, la matrigna, ma ha sempre considerato il figlio del marito come un proprio figlio. «Zhang si è prostrato perché non si sente degno dei genitori, pensa di non essere stato rispettoso e riconoscente come avrebbe dovuto», ha scritto il cronista. 

Le foto hanno riaperto il dibattito sulla pietà filiale, che è uno dei concetti cardine del confucianesimo, bruciato sull’altare della Rivoluzione culturale e poi su quello della crescita economica a doppia cifra inseguita dalla Cina negli ultimi trent’anni. Sul web si sono intrecciati migliaia di commenti. Per qualcuno il gesto di pentimento e dolore del figlio «è stato commovente»; per altri «eccessivamente emotivo»; «la vita è dura»; «che tristezza». Ma la discussione non è limitata ai social network: nel 2013 è stata introdotta una legge per la «Protezione dei diritti e degli interessi degli anziani», che in Cina sono quasi 200 milioni e diventeranno il doppio tra un paio di decenni. Il nuovo pacchetto di norme introduce l’obbligo per i figli grandi di visitare il padre e la madre «più spesso» e addirittura concederebbe ai lavoratori 20 giorni di permesso per andare a trovare i vecchi genitori che vivono molto lontani. La legge non prevede sanzioni e naturalmente nessuno la fa rispettare. Uno degli estensori, il professor Xiao Jinming della Shandong University, ha spiegato: «È soprattutto un modo per sottolineare il diritto dei nostri anziani a chiedere sostegno emotivo, noi vogliamo enfatizzare questa esigenza». Un blogger ha riassunto così i suoi dubbi: «La pietà filiale dovrebbe essere naturale. Questa legge svela la tragedia della nostra generazione». A settembre, all’esame per aspiranti magistrati e avvocati, è stato posto il quesito: «C'è un incendio nella vostra casa, chi salvereste? Vostra madre o la fidanzata?». La risposta giusta: «Sarebbe un crimine anteporre l’amore romantico al dovere filiale». Così dice la legge. 
Fonte: corriere.it

Il duplice omicidio di Pordenone «Così hanno ucciso Trifone e Teresa»


Un profilo anonimo su Facebook; due mesi di chat pungenti con la fidanzata di Trifone, Teresa, firmate con il nome di un ex fiamma dello stesso Trifone; quest’ultimo che scopre tutto e cioè che a inviare quei messaggi non era la sua ex ma il collega commilitone ed ex coinquilino Giosuè Ruotolo, con il quale finisce per litigare pesantemente. Volano minacce e lo scontro fra i due è tale da essere ritenuto insostenibile da Giosuè, al punto da scegliere l’estremo, tragico, folle rimedio: uccidere entrambi.

Tre pallottole per Trifone Ragone, diventato la causa improvvisa delle sue paure; e tre per Teresa Costanza, colpevole solo di sapere chi c’era dietro il finto profilo Facebook che la inquietava. Perché se Giosuè avesse ucciso solo Trifone, Teresa avrebbe potuto smascherarlo rivelando il nome di chi aveva avuto dei contrasti con la vittima. È questa, almeno, l’ipotesi che fanno gli inquirenti di Pordenone a conclusione dell’indagine sul duplice omicidio dei fidanzati (manca solo una consulenza) per il quale Ruotolo è indagato Ruotolo: 17 marzo 2015, un killer si avvicina alla loro auto e spara sei colpi da distanza ravvicinata. Un’esecuzione. Dal punto di vista dell’accusa, il mosaico sembra ora completo di ogni tassello. In particolare, il movente, vero punto debole di un’inchiesta comunque indiziaria: lo scontro fra i due caporali dell’esercito causato da quei messaggi inviati da Ruotolo a Teresa via Facebook. Messaggi di questo tenore: «Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me. Io ci sto perché mi piace molto, ti sto solo avvisando», «se ne parli con lui nego tutto. Non ti conviene stare con lui», «Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me», «Controlla i suoi cellulari, so che ne ha due, un iphone e uno nero»… e altri più pesanti.
E Teresa: «Ho informato il mio ragazzo. Io e Trifone ridiamo di te». Due mesi di chat via Facebook, tutti firmati con il nome (non il cognome) di questa ex ragazza di Trifone. Non c’è la prova regina della colpevolezza di Ruotolo ma esistono una serie di elementi a suo carico: la presenza sul luogo e all’ora del delitto, il buco di sette minuti della sua auto fra un passaggio e l’altro sotto le telecamere della zona, tempo nel quale secondo i pm avrebbe gettato la pistola nel laghetto, le falsità dichiarate nelle prime audizioni, quando diceva di essere rimasto a casa quella sera e, successivamente, quando ha sostenuto che i rapporti con Trifone erano buoni. «Ho mentito per paura delle conseguenze sul mio lavoro», si è giustificato lui nell’interrogatorio di ottobre, intendendo per lavoro l’ingresso nella Guardia di finanza. Poi c’è il capitolo Rosaria Patrone, fidanzata di Ruotolo, 24 anni, pure lei indagata. È’ accusata di favoreggiamento per aver tentato di inquinare le prove. Come? Invitando alcune amiche a non dire nulla agli inquirenti di quel profilo Facebook. Già, anche lei ne era a conoscenza. «Ed evidentemente aveva capito che rivelando la circostanza, le amiche avrebbero messo in difficoltà Giosuè», spiega l’investigatore.
Ma i nuovi testimoni sono soprattutto gli amici della caserma di Trifone. Cioè, i tre commilitoni che hanno assistito al litigio fra i due quattro mesi prima del delitto, circostanza rivelata solo recentemente e raccontata nei dettagli da uno dei tre. «Loro hanno visto quella zuffa ma probabilmente ce ne sono state altre. L’avessero detto prima, il caso sarebbe stato chiuso in tempi molto più rapidi. Purtroppo quello è un ambiente molto omertoso». Alla chiusura formale dell’inchiesta manca solo la consulenza informatica disposta sul computer della caserma usato da Ruotolo, che dovrebbe dimostrare come il profilo Facebook è stato creato lì, considerato che nel computer personale non è stata trovata alcuna traccia. «Non ci sono evidenze né prove che sia stato creato da lui. Potrebbe essere che venisse utilizzato anche da altri soggetti in possesso delle password. Non vorrei però che si trattasse di qualcosa di goliardico», dice ora l’avvocato Roberto Rigoni Stern, difensore di Ruotolo.
«L’aveva creato Ruotolo per fare uno scherzo», aveva però spiazzato tutti il legale di Rosaria, Costantino Catapano, in un’intervista televisiva. Fra l’altro, se la circostanza fosse confermata Ruotolo potrebbe essere accusato anche di peculato e sostituzione di persona. Considerato il duplice omicidio, davvero poca cosa. L’accusa ha ricostruito anche la tempistica dell’intera vicenda: nell’aprile 2014 Trifone va a vivere con Teresa e lascia l’appartamento che condivideva con Ruotolo; nel giugno-luglio Ruotolo manda i messaggi a Teresa; a fine 2014 Trifone scopre che a mandarli è lui e c’è lo scontro con Ruotolo; il 17 marzo 2015 vengono uccisi Trifone e Teresa. Rimane sospesa una domanda: perché Giosuè avrebbe mandato quei messaggi a Teresa, peraltro informando della cosa la sua fidanzata? E qui, dicono gli investigatori, entriamo in un campo difficile da sondare: «Si tratta di una dinamica di coppia certamente poco normale».
Fonte: corriere.it

Roma, ritrovata 15enne scomparsa da Terni: tre arresti. L'ombra della prostituzione minorile


Andreea, la quindicenne scomparsa da Terni il 3 febbraio scorso, è stata ritrovata dalla polizia in un appartamento alla periferia di Roma dopo un blitz della polizia che portato anche all'arresto di tre persone. Gli inquirenti l'hanno rintracciata seguendo il segnale del suo telefonino cellulare.

La scomparsa della ragazza era stata denunciata dalla madre che ha riferito come fosse uscita di casa indossando un pigiama rosa, una vestaglia rosso bordeaux e pantofole da uomo. Dietro al suo allontanamento ci sarebbe l'ombra della prostituzione minorile.
Fonte: ilmessaggero.it

Rieti, colpisce l'arbitro che va in ospedale: 5 anni di squalifica

Una espulsione

RIETI – Pesanti i provvedimenti sanciti dal giudice sportivo provinciale Roberto Silvestri in merito alla gara tra Madonna del Cuore Contigliano e Capradosso valida per il campionato Juniores provinciale di Rieti, sospesa sabato scorso al 19’ della ripresa dal direttore di gara Saverio De Luca della sezione di Rieti e in cui, al termine, sono intervenuti anche i carabinieri. Un dirigente della Madonna del Cuore Contigliano è stato inibito dal giudice sportivo per cinque anni per aver colpito l’arbitro, un calciatore del Contigliano per due anni e altri due giocatori dello stesso club rispettivamente per cinque e quattro gare. Multa anche al club di 200 euro e perdita della gara a tavolino per 3-0.

Sulla gara sospesa Madonna del Cuore Contigliano-Capradosso il comunicato 35 pubblicato dalla delegazione Figc di Rieti riporta: “Visti gli atti ufficiali di gara, rilevato che al 19’ del secondo tempo veniva espulso un giocatore della società Madonna del Cuore per aver rivolto all'arbitro espressione offensiva applaudendolo ironicamente, nel contempo cercava di aggredirlo e lo colpiva al braccio sinistro causandogli forte dolore; successivamente il direttore di gara veniva circondato da alcuni calciatori della società Madonna del Cuore tra i quali l'arbitro individuava un altro calciatore della Madonna del Cuore Contigliano che lo tirava per la maglia rivolgendogli frase offensiva e un terzo calciatore della squadra di casa che lo strattonava minacciandolo. A questo punto l'arbitro a causa del forte dolore al braccio e delle spinte e minacce ricevute decretava la fine anticipata dell'incontro; mentre l'arbitro si avviava verso gli spogliatoi, in prossimità degli stessi, veniva dapprima minacciato e successivamente spinto all'interno dello spogliatoio dal signor Maurizio Polletti quale tesserato della società Madonna del Cuore e già inibito fino al 30 giugno 2016; in seguito veniva aperto il cancello del recinto di gioco dal quale entravano alcuni sostenitori della società ospitante che si posizionavano davanti allo spogliatoio riservato all'arbitro e nonostante questi tentasse ripetutamente di chiudere la porta, veniva bloccato dal Polletti che, unitamente ad altra persona non identificata, colpiva con pugni e spinte il direttore di gara, facendogli battere violentemente la schiena contro il muro; l'arbitro veniva soccorso da dirigenti della società Capradosso che riuscivano ad allontanare gli aggressori; sul posto arrivavano in seguito i carabinieri che identificavano il signor Maurizio Polletti che nel frattempo si era allontanato dal recinto di gioco. Il direttore di gara veniva scortato dalle forze dell'ordine fino alla propria autovettura; successivamente l'arbitro si recava presso il pronto soccorso dell'Ospedale Provinciale di Rieti dove gli venivano prestati i primi soccorsi con prognosi di cinque giorni s.c. come da verbale allegato”.Il giudice sportivo ha sancito che “Visto che l'irregolare conclusione dell'incontro è da addebitarsi alla società Madonna del Cuore e visto l'art.17 comma 1 del C.G.S. si decide di infliggere alla società Madonna del Cuore la perdita della gara con il punteggio di 0-3, di comminare alla stessa l'ammenda di 200 euro, di inibire il signor Maurizio Polletti, della società Madonna del Cuore, già inibito fino al 30 giugno 2016, fino al 31 gennaio 2021” oltre alla squalifica per tre calciatori della Madonna del Cuore Contigliano. Il calciatore che ha rivolto “all'arbitro espressione offensiva applaudendolo ironicamente, nel contempo cercava di aggredirlo e lo colpiva al braccio sinistro causandogli forte dolore” è stato squalificato fino al 31 gennaio 2018 mentre per gli altri due riportati nel documento del giudice sportivo, rispettivamente quattro e cinque gare effettive di squalifica.
Fonte:  ilmattino.it

Si dimette deputato giapponese: «Ho tradito mia moglie, mi scuso»


«Mi scuso per aver causato un putiferio». Con queste parole il deputato giapponese Kensuke Miyazaki, 35 anni, ha lasciato la sua poltrona dopo essere diventato uno dei poster boy del primo ministro Shinzo Abe. Delfino del partito liberale giappone, il giovane Miyazaki era stato citato come esempio di modernità e di progresso per aver usufruito del congedo di paternità, dopo che la moglie Kaneko (anche lei membro del partito liberale), 37 anni, aveva dato alla luce il loro bambino. «Un esempio per tutti i padri giapponesi», aveva scritto la stampa nipponica. Peccato che il padre e marito modello fosse in realtà un playboy. Miyazaki è sato infatti pizzicato da un tabloid giapponese, il Shukan Bunshun, in atteggiamenti intimi con la modella e indossatrice di kimoni, Mayu Miyazawa. Secondo il settimanale, l'uomo ha incontrato la donna la prima volta sei giorni prima che la moglie partorisse. Ma la faccenda non è finita lì e i due si sono rivisti più volte, passando la notte insieme a Kyoto.

Da qui la figuraccia planetaria e le dimissioni. L'avvocato ha ammesso il tradimento durante un'affollatissima conferenza stampa dove ha spiegato di aver conosciuto la donna in una cerimonia ufficiale e di averla poi rincontrata altre tre volte. «Ho spiegato tutto a mia moglie, sono profondamente dispiaciuto di averle fatto una cosa così crudele». E ancora: «Mi scuso con tutti quelli che prendono sul serio il permesso di paternità retribuita», ha dichiarato facendo tornare a tutti in mente quanto l'argomento sia di attualità vedendo impegnati su questo fronti anche imprenditori del calibro di Mark Zuckerberg. La vicenda, come era prevedibile, ha scatenato le ire dell'opposizione giapponese. Dopo che i liberali avevano dipinto Miyazaki come un paladino dei diritti delle donne per la sua decisione di affiancare la moglie nei mesi successivi al parto - il Giappone ha una legislazione molto generosa in materia di congedo parentale, ma solo il 2.3 per cento dei padri ne usufruisce - , ora i democratici sollevano la «questione morale» e si chiedono se il partito di Abe, già travolto dagli scandali, sia all'altezza del compito di governo.
Fonte:  corriere.it

giovedì 11 febbraio 2016

Gli Usa inviano caccia in Finlandia, Mosca scalda i missili

F-15

Gli Stati Uniti, per la prima volta nella storia della NATO, invieranno caccia F-15 in Finlandia e relativo personale di supporto in vista di un’esercitazione che si svolgerà il prossimo maggio. Il paese scandinavo, che confina ad est con la Russia, non è membro della NATO, ma negli ultimi anni si è allineato con la politica dell’Alleanza. Le manovre militari dureranno due settimane e coinvolgeranno gli F-15 del 123° Fighter Squadron con sede a Portland e personale dell’Oregon Air National Guard. Potrebbero prendere parte anche Norvegia e Svezia. Il tempismo del Pentagono nel comunicare il dispiegamento degli F-15 in Finlandia, seppur momentaneo, è a dir poco curioso. Arriva, infatti, 24 ore dopo le dichiarazioni del Ministro della Difesa russo Sergei Shoigu nel presentare la vasta esercitazione militare che coinvolgerà truppe aviotrasportate, aviazione e marina. I russi intendono dimostrare la mobilità delle proprie truppe di riserva, in una missione di proiezione a 1800 miglia di distanza a sud-ovest del Paese. Saranno coinvolti 8.500 soldati, 200 aerei e 50 navi da guerra. L’esercitazione per verificare l'interoperabilità delle forze aeree della NATO con i paesi “amici”, dovrebbe scoraggiare proprio una potenziale aggressione russa.

Quei caccia USA in Finlandia potrebbero acuire ancora di più i già delicati rapporti tra l’Occidente e la Russia. Mosca si è sempre opposta ad una ulteriore espansione della NATO, in particolare nella regione del Mar Baltico, minacciando il rischieramento di missili tattici. La risposta del Cremlino per manovre militari che coinvolgeranno paesi storicamente neutrali non si farà attendere. Vicina all’Unione Sovietica durante la guerra fredda, la Finlandia dopo la caduta dell’URSS si è sempre più allineata con la NATO. La forza aerea della Finlandia è composta da una linea di volo formata da 61 caccia multiruolo F/A-18 C/D Hornet. Per dottrina, Helsinki utilizza i suoi caccia per la sola difesa interna, strutturata sfruttando la conformazione del territorio.
La Svezia, già minacciata dal puntamento di missili balistici russi qualora fosse entrata nella NATO, da alcuni mesi ha iniziato a fortificare l’isola di Gotland, ritenuta l’anello debole della difesa svedese. Il governo ha deciso di fortificarla, dotandola di batterie missilistiche, in grado di proteggere le navi in rotta verso San Pietroburgo e bersagliare vettori in avvicinamento.
La chiave della strategia difensiva della Svezia è proprio l’Isola di Gotland. Se ben presidiata e difesa, nessun nemico può attaccare il suolo svedese. Tuttavia, se Gotland cadesse, un nemico potrebbe dominare tutta la Svezia con missili tattici.
L’apparato militare svedese si basa sulla capacità di spostare truppe ed attrezzature velocemente lungo percorsi prestabiliti che attraversano il paese. I “combat engineer battalions”, per esempio, sono schierati presso la base di Eksjö nel sud del paese, mentre l'artiglieria pesante così come la fanteria del Norrbotten Regiment sono schierati a Boden, nel nord. Ciò significa che per raggiungere Gotland da Boden si dovrebbero percorrere 1000 km. Le truppe poi, per raggiungere l’isola dovrebbero imbarcarsi presso il porto di Nynäshamn. Ci sarebbe anche un’altra unità di fanteria, distante 200 km nell’entroterra svedese, ma dovrebbe comunque imbarcarsi primo di raggiungere Gotland. Considerando i preparativi ed il viaggio, le unità svedesi raggiungerebbero Gotland in quattro-cinque giorni, tempo ritenuto sufficiente per consentire ai russi di fortificare l’isola. Ogni battello svedese sarebbe poi affondato ancor prima di raggiungere la riva. Gotland, secondo la nuova dottrina, dovrebbe ospitare una brigata dotata di carri armati, fanteria meccanizzata, artiglieria, sistemi di difesa aerea, genieri e logistica. Altre due brigate simili dovrebbero essere dislocate nel nord e nel sud del Paese. Questa forza avrebbe metà della potenza di quella schierata durante la guerra fredda, ma sarebbe abbastanza forte da resistere ad un attacco russo (almeno fino all’arrivo degli americani).
Fonte: ilgiornale.it
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