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venerdì 31 marzo 2017

Giunta Raggi: sospensione sgomberi (VIDEO)


+++ GESTO STREPITOSO DELLA RAGGI. SCOPPIANO TUTTI IN LACRIME IN DIRETTA. FACCIAMO 10MILA CONDIVISIONI +++

La Giunta di Virginia Raggi fa sospendere lo sfratto per 300 famiglie che avrebbero potuto perdere la propria casa e hanno così ritrovato il sorriso grazie a Virginia Raggi. 
Grazie ai servizi di Mi manda Rai3 che ha interessato del caso la giunta Raggi, che ha fermato in extremis lo sgombero di decine di persone.

Mi Manda Rai tre, di Salvo Sottile (22 12 2016)
MASSIMA CONDIVISIONE!!

Fonte: QUI

giovedì 23 marzo 2017

Messaggio M5S: stanno per bocciare la nostra proposta per abolire la pensione privilegiata dei parlamentari (VIDEO)


In queste ore il Movimento5Stelle, tramite il vicepresidente della Camera Luigi DiMaio e Riccardo Fraccaro, anche quest ultimo politico del M5S, con un video ci informano dell attuazione della difesa dei PRIVILEGI parlamentari grazie a quei "politici" che si stanno opponendo contro l abolizione degli stessi.
Gli esponenti del M5S chiedono semplicemente l aiuto della condivisione della notizia (VIDEO) per far si che più italiani possibile prendano coscienza di chi ci sta rappresentando in questo momento.

Messaggio Originale:
Massima attenzione abbiamo bisogno del vostro aiuto. I partiti stanno per bocciare la nostra proposta per abolire la pensione privilegiata dei parlamentari
#sitengonoilprivilegio

                            GUARDA IL VIDEO MESSAGGIO

Fonte: QUI

Napoli: tangenti e appalti dei colletti bianchi al servizio dei Casalesi (VIDEO)


Una settantina di persone tra imprenditori, amministratori locali, faccendieri, tra cui l'ex assessore regionale Pasquale Sommese, sono stati arrestati dalla DDA di Napoli la scorsa settimana con l'accusa di corruzione e turbativa d'asta. Per alcuni dei colletti bianchi arrestati c'è anche l'accusa di aver favorito il clan di Michele Zagaria. Dagli atti dell'inchiesta emerge che il clan dei Casalesi è più che mai vivo, nonostante il boss Michele Zagaria sia in carcere dal 2011 in regime di 41 bis.

Fonte: QUI

domenica 12 marzo 2017

Acireale: famiglia da record


ACIREALE (CATANIA) – Sei generazioni di donne e quasi un secolo di vita: tutte sono diventate mamme giovanissime e adesso si ritrovano faccia a faccia sullo stesso divano. Storie simili, tra fughe d'amore e fiocchi rosa, che si ripetono di generazione in generazione all'interno di una mega-famiglia in cui si respira aria felice e piena di allegria. Arriva da Acireale, in provincia di Catania, la storia da record riportata oggi dal "Corriere della Sera" che racconta di Emanuela, quadrisavola e madre a 19 anni, che lo scorso 31 gennaio ha visto nascere la piccola Nicole, ultima arrivata in casa, figlia della 16enne Nadia Di Bella.

In mezzo ci sono Mariella, nonna a 36 anni, Emanuela, la bisnonna 54enne e Maria, trisavola a 75 anni. Fu proprio quest'ultima a fuggire a soli 13 anni con quello che poi divenne il marito per poi diventare mamma tre anni dopo. Primo figlio in tenera età anche per la figlia e la nipote di Maria, diventate mamme rispettivamente a 18 e 20 anni. E ora, dopo 60 anni la storia si è ripetuta grazie a Nadia e alla piccola Nicole.

Ma precoce è stata anche la quadrisavola, Emanuela Raneri, che ha dato alla luce Maria a soli 19 anni. Dopo la morte in guerra del primo marito, la supernonna si è risposata e ha messo al mondo ben dieci figli. Oggi conta circa 80 tra nipoti e pronipoti.

Nella foto: da sinistra, Nadia (16 anni), Mariella (36), Emanuela (54), Nicole (neonata), Maria (75) ed Emanuela (93)

Fonte: QUI

Ficarra e Picone: "frecciatine" a Gentiloni



“Dopo aver regalato soldi a banche, slot machine e vitalizi vari il governo Gentiloni sai che cosa ha fatto? Ha ridotto di 50 milioni il fondo da destinare ai disabili gravissimi: da 500 milioni sono ritornati a 450″, denuncia il conduttore di Striscia la Notizia Picone.

“Ti posso dire una cosa?”, aggiunge Ficarra: “Il governo tagliando 50 milioni ai disabili non è che ha tagliato il fondo, lo ha proprio toccato il fondo”.

E dire, riprende Picone, che “il presidente Mattarella da poco aveva detto che non bisognava lasciare i disabili da soli”.

“Ah, così aveva detto?”, interviene Ficarra che dice: “Allora ho capito tutto, prima i disabili erano soli, e avevano 500 milioni. Appena si sono arrivati i politici sono spariti 50 milioni, il 10%. E’ una tariffa fissa, loro prendono il 3% sui lavori pubblici e il 10% sui disabili, sono prezzi popolari”.

“Hanno ragione i politici – conclude ironico Ficarra – da qualche parte i soldi li devono prendere, non è che possono andare sempre a rubare”.

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 Fonte: QUI



sabato 11 marzo 2017

Palermo: clochard bruciato vivo


Choc a Palermo: clochard bruciato vivo. La figlia: “Killer deve fare la stessa fine”
Marcello Cimino, 45 anni, è stato bruciato vivo. I vigili del fuoco sono intervenuti all'interno di una struttura di accoglienza dove era stato segnalato un incendio e hanno trovato il corpo carbonizzato. La vittima avrebbe avuto un diverbio con alcune persone poco prima.

Marcello Cimino, clochard di quarantacinque anni, è morto bruciato nella notte a Palermo. I vigili del fuoco sono intervenuti all'interno di una struttura di accoglienza, nel cui porticato Cimino trascorreva la notte, dove era stato segnalato un incendio, e lì hanno trovato il corpo carbonizzato del quarantacinquenne. L’allarme è stato dato poco prima dell’una di notte, quando qualcuno ha sentito le urla dell’uomo che era completamento avvolto dalle fiamme. La vittima è stata cosparsa di liquido infiammabile e data alle fiamme. Il gesto dell'assassino è stato immortalato da una telecamera: le drammatiche immagini sono state diffuse in rete. Quando sul posto sono arrivati i vigili del fuoco sul posto non c’era più niente da fare.

Si indaga per omicidio – La polizia, coordinata dal pubblico ministero Maria Forti, ha subito ipotizzato l'omicidio. Sul corpo del clochard è stata disposta l’autopsia per chiarire quanto accaduto. Marcello Cimino dormiva all'interno della missione San Francesco, in piazza Cappuccini, sotto un portico. Nei pressi del refettorio della struttura dove è stato trovato morto, stando a quanto si è appreso, c'è una sola telecamera di sorveglianza.

Incendio certamente di origine dolosa – Secondo una prima ricostruzione, qualcuno sarebbe entrato all'interno della missione e avrebbe dato fuoco al clochard. L'incendio, secondo i vigili del fuoco, è certamente di origine dolosa: sul luogo della tragedia, infatti, sono state infatti trovate tracce di liquido infiammabile. I poliziotti hanno setacciato per tutta la notte la zona per cercare un eventuale bidone abbandonato in qualche cassonetto o in alcune aree della zona attorno al convento. Al momento gli investigatori stanno interrogando alcune persone con le quali nel pomeriggio di ieri il clochard avrebbe avuto un diverbio.

La figlia della vittima: "Killer faccia la stessa fine" – "Papà non meritava questo. Non hanno cuore le persone, chi l'ha ucciso deve fare la stessa fine". E' disperata la figlia di Cimino. "Chi ha compiuto un gesto del genere non è un uomo e spero patisca quanto ha sofferto mio fratello. Era una persona mite che non faceva del male a nessuno. Sono dei vigliacchi che meritano di passare le stesse pene di mio fratello", sono invece le parole Patrizia Cimino, sorella di Marcello.


Fonte: QUI

venerdì 3 marzo 2017

Inchiesta Consip, indagini e intercettazioni


Il caso Consip è diventato una mina pronta a far saltare in aria il potere renziano il 19 dicembre 2016. Quel giorno è stato sentito come persona informata dei fatti l’amministratore di Consip Luigi Marroni. L’uomo che Matteo Renzi ha scelto nel giugno del 2015 per guidare la prima stazione appaltante d’Italia, appena quattro giorni prima, aveva fatto rimuovere grazie a un’apposita bonifica le microspie celate dai carabinieri del Noe nel suo ufficio.

I pm di Napoli insieme ai carabinieri e ai finanzieri gli chiedono perché lo abbia fatto e Marroni risponde così: “Perché ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni, dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”.

Il Fatto aveva già anticipato i contorni delle soffiate ma a leggere nel dettaglio le accuse di Marroni si resta a bocca aperta.

“Vannoni (amico di Matteo Renzi e presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e dei comuni toscani, Publiacqua, ndr) mi ha detto due volte, prima delle ferie estive e alla fine di novembre, di fare attenzione alle conversazioni telefoniche in quanto il mio telefono era sotto intercettazione insieme ad altri in una vicenda di cui non mi fece menzione né io gliene chiesi”.

Marroni deve essere un po’ duro d’orecchi e allora, come racconta ai magistrati, arriva il comandante dei carabinieri della Toscana a ribadire il concetto: Emanuele Saltalamacchia. “Con il generale intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni”, spiega Marroni, “e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso l’informazione la ricevetti prima dell’estate 2016. Ho incontrato Saltalamacchia di recente e gli ho chiesto se il mio cellulare fosse ancora sotto controllo ma lui mi disse che non aveva avuto aggiornamenti”.

Visto che Marroni si mostra ancora poco ricettivo, sempre a sentir lui, ecco la terza soffiata dal presidente della Consip: “Luigi Ferrara mi ha detto di essere intercettato lui stesso e che anche la mia utenza era sotto controllo per averlo appreso direttamente dal comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette; la notizia arrivò non ricordo con precisione quando, tra luglio e settembre 2016. Non ad agosto”. Come è noto Del Sette ha negato e il presidente Ferrara ha detto di avere ricevuto solo un generico monito a stare attento a Romeo dal generale Del Sette, la cui posizione sarà archiviata probabilmente dalla procura di Roma.

Più difficile la posizione di Luca Lotti. Marroni punta il dito con precisione sul sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Renzi che lo ha nominato: “Sempre a luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino (non indagato, ndr) e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”. Come rivelato sul Fatto da Davide Vecchi il ministro dello sport si è presentato ai magistrati romani per smentire la versione di Marroni.

Il giorno dopo la testimonianza di Marroni, il 21 dicembre 2016, viene sentito a Napoli anche Vannoni che inizialmente dice di non ricordare bene come aveva saputo dell’inchiesta. I pm di Napoli Henry John Woodcock e Celeste Carrano allora gli contestano quanto detto su di lui da Marroni: “Anche Filippo Vannoni, consigliere economico della precedente presidenza del Consiglio, una prima volta subito prima dell’estate del 2016 e una seconda volta una ventina di giorni fa, mi ha detto e ribadito che avevo il telefono sotto controllo; al riguardo il Vannoni non mi ha detto da chi lo aveva appreso”. Alla fine, posto con le spalle al muro dai magistrati che gli ricordano i rischi della falsa testimonianza e il suo obbligo di dire tutta la verità, Vannoni sostanzialmente conferma: “Fu Luca Lotti a dirmi che c’era una indagine su Consip, dicendomi di stare attento”. Non basta. Vannoni va oltre e mette a verbale anche il nome di Matteo Renzi. Ammette di avere ricevuto un allarme su Consip proprio dal premier in carica in quel momento. Molto vagamente. “Ricordo che il presidente Renzi mi diceva solo di ‘stare attento’ a Consip”. Solo. Come a differenziare i ruoli, i gradi di conoscenza e le responsabilità della soffiata tra il numero due e il numero uno della cordata politica a cui deve così tanto.

Luca Lotti si presenta il 27 dicembre in procura per dire che è tutto falso che lui nulla sapeva dell’inchiesta Consip e che quindi nulla in merito avrebbe potuto riferire ad alcuno. Lotti è un indagato e ha facoltà di mentire o di non ricordare. Per esempio non ha raccontato ai pm spontaneamente che conosceva bene Carlo Russo e che lo raccomandò a Michele Emiliano per un incontro. Mentre Marroni, che è un testimone e ha l’obbligo di dire la verità, è loquace come un cardellino davanti ai carabinieri e alla Guardia di finanza.

Marroni racconta nella sua testimonianza di avere conosciuto Tiziano Renzi anni prima, quando Matteo era sindaco di Firenze. Durante il Palio di Siena il padre di Marroni e il babbo del sindaco, Tiziano, fraternizzano. Poi Marroni, negli anni in cui Matteo sale sul proscenio nazionale, incontra più volte il padre di Matteo Renzi a Firenze in vari eventi culturali e sociali. Dopo la sua nomina alla Consip, a giugno 2015, Tiziano Renzi a settembre si fa vivo. “Mi chiese di incontrarlo di persona, nella zona del Bargello. Mi disse che voleva chiedermi di ricevere un suo amico imprenditore: Carlo Russo che voleva partecipare a delle gare d’appalto indette da Consip; Tiziano Renzi mi chiese di fare il possibile per assecondare le richieste di Russo e di dargli una mano perché era un suo amico”.

Marroni si mette subito a disposizione: “Risposi che avrei ricevuto Russo e lo avrei ascoltato. Dopo una quindicina di giorni Russo venne nella sede della Consip e io lo ricevetti nel mio ufficio da solo. Mi disse in concreto che tramite una società, di cui non ricordo il nome ma disse che era a lui riferibile, stava partecipando alla gara d’appalto indetta da Consip che riguardava il facility management, credo proprio la gara Fm4 di cui oggi avete richiesto gli atti”.

Nella testimonianza di Marroni c’è questo strano vuoto di memoria: il manager Consip non ricorda il nome della società caldeggiata da Russo, ancorché sia un amico del babbo del premier che lo ha nominato.

Prosegue Marroni: “Russo per rafforzare la sua richiesta, mi disse in modo esplicito che questo affare non interessava solo lui ma dietro la società che lui stava rappresentando vi erano gli interessi di Denis Verdini, facendomi capire chiaramente che avrei dovuto impegnarmi nel senso da lui prospettato, ribadendomi che io ricoprivo questo incarico grazie alla nomina che mi era stata concessa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Devo ammettere che questa richiesta – prosegue Marroni – mi turbò molto perché mi rendevo conto che se non avessi dimostrato di agevolare l’azienda segnalatami dal Russo avrei rischiato il posto ma di contro ero fortemente intenzionato a non dare seguito alla richiesta in quanto palesemente contraria alla legge”.

Dopo avere fatto questo proclama che fa sperare in un comportamento da “un giorno da leone”, Marroni più prosaicamente, come direbbe Massimo Troisi, opta per i classici 50 giorni da orsacchiotto: “Ad ogni buon modo riferii al Russo che, riguardo la sua richiesta, mi sarei attivato ma nella realtà nulla feci”. Insomma il furbo Marroni traccheggia ma si macera: “Vi confesso che mi sentivo veramente frustrato da tale richiesta e il mio senso di prostrazione è durato per diversi mesi anche perché non volevo condizionare né chiedere alcunché alla commissione e ho quindi atteso gli eventi non dando seguito alla richiesta, pur avendo sempre in mente del livello istituzionale altissimo da cui proveniva la richiesta”. Non finisce qui: “A distanza di qualche mese il Russo mi richiese di incontrarlo nuovamente e venne di nuovo presso il mio ufficio. Nella circostanza credo non trovando riscontri dopo il suo primo intervento di cui vi ho parlato, mi disse nuovamente che dovevo impegnarmi e di provvedere a seguire la gara d’appalto in modo da garantirgli l’aggiudicazione; Russo mi disse nuovamente che Denis Verdini e gli amici ci tenevano molto a questa gara e che contavano di vincere. Russo mi fece capire che se io li avessi agevolati sarei stato reputato affidabile da lui e dai suoi amici Tiziano Renzi e lo stesso Verdini e che quindi mi avrebbero tenuto in considerazione in futuro per più prestigiosi incarichi”. Siamo, è bene ricordarlo nell’era in cui il governo Renzi era in sella grazie ai voti dei verdiniani.

In quella fase seguono altri incontri e alla fine, racconta Marroni, “Russo mi ribadì che sia Verdini che Tiziano Renzi davano per scontato che io gli garantissi tale aggiudicazione e che quindi non potevo sbagliare”. Spiega Marroni: “Mi trovavo di fronte ad un vero e proprio ricatto che era ancor più spregevole perché non mi dava scelta se non rinunciare al mio posto di lavoro”. E Tiziano Renzi? Marroni sempre più prostrato, a suo dire almeno, lo incontra a piazza Santo Spirito a Firenze. Non va meglio: “Tiziano Renzi mi ribadì di aiutare il Russo nella gara d’appalto” perché “era una persona a lui molto vicina”.


La lettura dei verbali di Marroni e Vannoni fa sorgere una questione politica evidente. Vannoni è presidente della società mista Publiacqua, controllata, insieme ai privati capeggiati da Acea, dal comune di Firenze e da altri enti locali delle province vicine. Nonostante sia uno dei due grandi accusatori di Lotti, Vannoni resta seduto sulla poltrona da 87mila euro all’anno senza che Lotti lo denunci per calunnia e senza che il sindaco renziano Dario Nardella batta ciglio.

La stessa sorte è toccata a Luigi Marroni. Ieri l’amministratore di Consip si è fatto intervistare dal Corriere della Sera per dire che il ministro Pier Carlo Padoan gli ha confermato la fiducia. Non si riesce a comprendere come possa restare al suo posto dopo essere stato accusato di avere calunniato Luca Lotti dallo stesso ministro, inchiodato alla poltrona come lui.

Marroni dovrebbe dimettersi per i suoi troppi incontri e pranzi con i politici e i loro famigli interessati alla gara più importante mai bandita in Europa. Sostiene di averli sempre incontrati senza mai concedere nulla. Resta il fatto che le imprese care a Denis Verdini e agli amici del padre di Tiziano Renzi sono risultate prime in tanti lotti pari a più di metà della torta.

Fonte: QUI

Denis Verdini condannato a nove anni


I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni

Il Tribunale di Firenze ha condannato Denis Verdini a 9 anni nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. La pena, 7 anni per la bancarotta e 2 per la truffa, è stata decisa dal collegio presieduto dal giudice Mario Profeta. I giudici che, non hanno riconosciuto l’associazione a delinquere assolvendo tutti per questo reato, hanno inflitto cinque anni e sei mesi ciascuno agli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. Condannato anche il deputato di Ala Massimo Parisi. Il Tribunale ha disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per Verdini, Fusi e Bartolomei. All’ex direttore generale del Ccf Piero Italo Biagini, sono stati inflitti sei anni Condannati a pene che vanno da 4 anni e sei mesi a 5 anni di reclusione anche i componenti del consiglio di amministrazione dell’istituto e tutti i componenti del collegio sindacale. Pene da un anno e sei mesi e 4 anni e mezzo anche per gli amministratori della Ste, la società che pubblicava il Giornale della Toscana, e della Sette Mari che mandava nelle edicole il settimanale Metropolis. Il collegio ha invece assolto alcuni imprenditori che avevano ottenuto finanziamenti dal Ccf, “perché il fatto non sussiste”, mentre per tutti i reati di truffa ai danni dello Stato per i contributi all’editoria legati agli anni 2005, 2006 e 2007, è scattata la prescrizione. I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni.

“Non è finita, rispettiamo la sentenza ma siamo pronti a combattere e attendiamo le motivazioni per andare in appello” dice Ester Molinaro, legale di Verdini. “Per ora commentando la condanna abbiamo dimostrato che non esiste alcuna associazione tra Verdini e i suoi presunti sodali, in appello dimostreremo che non sussistono neppure le altre accuse”.   “Ci aspettavamo ben altra sentenza considerando quanto il processo aveva posto in luce in favore del senatore Verdini e non ci consola certamente la pur giusta assoluzione dalla accusa di associazione per delinquere. Per fortuna il nostro ordinamento prevede ancora il giudizio di appello ed attendiamo con impazienza di leggere la motivazione della sentenza per proporre contro di essa impugnazione” dice in una nota l’avvocato Franco Coppi.

“Questa sentenza è una grande ingiustizia perché noi non abbiamo fatto nulla – commenta Fusi -. Si accetta quello che dicono i giudici ma noi siamo innocenti. Abbiamo lavorato sempre per il bene dell’azienda, non abbiamo mai portato via un soldo all’azienda, ma grazie a questa indagine mi sono state portate via anche le mie aziende. Oggi è stata distrutta una delle imprese di costruzioni più grandi della Toscana, mentre chi paga le tangenti continua a lavorare”.

Provvisionale da 2 milioni e mezzo a favore della Presidenza del Consiglio
Verdini, Parisi, e altri nove condannati sono stati condannati dal Tribunale di Firenze “al pagamento a favore della Presidenza del Consiglio dei ministri di una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di euro 2.500.000,00″ per i reati relativi alla truffa ai danni dello Stato. I giudici hanno disposto che il risarcimento danni siano liquidati “in separata sede”. I condannati dovranno pagare anche le spese legali sostenute dalla Presidenza del Consiglio dei ministri stabilite in 20mila euro e i danni alla Banca d’Italia, parte civile nel processo, quantificati in 175mila euro come “provvisionale immediatamente esecutiva. Dovranno essere risarcite anche le spese legali sostenute dalla Banca d’Italia calcolate in 20 mila euro. Il Tribunale ha ordinato anche “nei confronti di Verdini, Parisi e di altri sei condannati la confisca della somma di euro 5.061.277,62, ovvero i beni per un valore pari all’importo corrispondente ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla società Toscana di Edizioni srl, per i danni di competenza 2008-2009″. Il Tribunale ha ordinato anche nei confronti di Verdini, Parisi e di altri cinque condannati “la confisca della somma di euro 4.049.022,00, corrispondenti ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla Sette Mari scarl per gli anni di competenza 2008-2009”.


L’accusa: “Banca come bancomat”, la difesa: “Fatto non sussiste”
Per l’accusa il parlamentare era il dominus della banca (che usava come “un bancomat”) e di tutte le attività le attività editoriali organizzate per ottenere contributi pubblici e nei confronti degli “amici di affari”. Tutte accuse che i difensori del senatore, gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro, hanno poi respinto con forza nelle loro arringhe. In particolare, spiegò Coppi, “i pm hanno travisato la sua personalità” definendolo “assetato di potere e di denaro. Una rappresentazione che non corrisponde a quello che Verdini già era in quegli anni, ossia un politico di spicco e un uomo senza problemi di denaro”. Assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”, era stata chiesta anche dai difensori di Parisi e degli altri imputati, compresi quelli degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei.

L’indagine, pm: “Finanziamenti senza garanzie”
Denis Verdini era stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato il 15 luglio del 2014. Secondo l’accusa finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine, allegati compresi, avevano riassunto lo stato di salute della banca di Verdini. E le anomalie riscontrate. Altro capitolo quello dei fondi per l’editoria, che secondo la Procura di Firenze, avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione di “Il Giornale della Toscana”.

Lo scorso ottobre Verdini era uscito indenne dal processo di secondo grado nell’ambito del processo per la Scuola Marescialli di Firenze. Verdini, che era stato condannato in primo grado a due anni di reclusione, era stato prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Fonte:  QUI
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