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venerdì 12 febbraio 2016

Il duplice omicidio di Pordenone «Così hanno ucciso Trifone e Teresa»


Un profilo anonimo su Facebook; due mesi di chat pungenti con la fidanzata di Trifone, Teresa, firmate con il nome di un ex fiamma dello stesso Trifone; quest’ultimo che scopre tutto e cioè che a inviare quei messaggi non era la sua ex ma il collega commilitone ed ex coinquilino Giosuè Ruotolo, con il quale finisce per litigare pesantemente. Volano minacce e lo scontro fra i due è tale da essere ritenuto insostenibile da Giosuè, al punto da scegliere l’estremo, tragico, folle rimedio: uccidere entrambi.

Tre pallottole per Trifone Ragone, diventato la causa improvvisa delle sue paure; e tre per Teresa Costanza, colpevole solo di sapere chi c’era dietro il finto profilo Facebook che la inquietava. Perché se Giosuè avesse ucciso solo Trifone, Teresa avrebbe potuto smascherarlo rivelando il nome di chi aveva avuto dei contrasti con la vittima. È questa, almeno, l’ipotesi che fanno gli inquirenti di Pordenone a conclusione dell’indagine sul duplice omicidio dei fidanzati (manca solo una consulenza) per il quale Ruotolo è indagato Ruotolo: 17 marzo 2015, un killer si avvicina alla loro auto e spara sei colpi da distanza ravvicinata. Un’esecuzione. Dal punto di vista dell’accusa, il mosaico sembra ora completo di ogni tassello. In particolare, il movente, vero punto debole di un’inchiesta comunque indiziaria: lo scontro fra i due caporali dell’esercito causato da quei messaggi inviati da Ruotolo a Teresa via Facebook. Messaggi di questo tenore: «Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me. Io ci sto perché mi piace molto, ti sto solo avvisando», «se ne parli con lui nego tutto. Non ti conviene stare con lui», «Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me», «Controlla i suoi cellulari, so che ne ha due, un iphone e uno nero»… e altri più pesanti.
E Teresa: «Ho informato il mio ragazzo. Io e Trifone ridiamo di te». Due mesi di chat via Facebook, tutti firmati con il nome (non il cognome) di questa ex ragazza di Trifone. Non c’è la prova regina della colpevolezza di Ruotolo ma esistono una serie di elementi a suo carico: la presenza sul luogo e all’ora del delitto, il buco di sette minuti della sua auto fra un passaggio e l’altro sotto le telecamere della zona, tempo nel quale secondo i pm avrebbe gettato la pistola nel laghetto, le falsità dichiarate nelle prime audizioni, quando diceva di essere rimasto a casa quella sera e, successivamente, quando ha sostenuto che i rapporti con Trifone erano buoni. «Ho mentito per paura delle conseguenze sul mio lavoro», si è giustificato lui nell’interrogatorio di ottobre, intendendo per lavoro l’ingresso nella Guardia di finanza. Poi c’è il capitolo Rosaria Patrone, fidanzata di Ruotolo, 24 anni, pure lei indagata. È’ accusata di favoreggiamento per aver tentato di inquinare le prove. Come? Invitando alcune amiche a non dire nulla agli inquirenti di quel profilo Facebook. Già, anche lei ne era a conoscenza. «Ed evidentemente aveva capito che rivelando la circostanza, le amiche avrebbero messo in difficoltà Giosuè», spiega l’investigatore.
Ma i nuovi testimoni sono soprattutto gli amici della caserma di Trifone. Cioè, i tre commilitoni che hanno assistito al litigio fra i due quattro mesi prima del delitto, circostanza rivelata solo recentemente e raccontata nei dettagli da uno dei tre. «Loro hanno visto quella zuffa ma probabilmente ce ne sono state altre. L’avessero detto prima, il caso sarebbe stato chiuso in tempi molto più rapidi. Purtroppo quello è un ambiente molto omertoso». Alla chiusura formale dell’inchiesta manca solo la consulenza informatica disposta sul computer della caserma usato da Ruotolo, che dovrebbe dimostrare come il profilo Facebook è stato creato lì, considerato che nel computer personale non è stata trovata alcuna traccia. «Non ci sono evidenze né prove che sia stato creato da lui. Potrebbe essere che venisse utilizzato anche da altri soggetti in possesso delle password. Non vorrei però che si trattasse di qualcosa di goliardico», dice ora l’avvocato Roberto Rigoni Stern, difensore di Ruotolo.
«L’aveva creato Ruotolo per fare uno scherzo», aveva però spiazzato tutti il legale di Rosaria, Costantino Catapano, in un’intervista televisiva. Fra l’altro, se la circostanza fosse confermata Ruotolo potrebbe essere accusato anche di peculato e sostituzione di persona. Considerato il duplice omicidio, davvero poca cosa. L’accusa ha ricostruito anche la tempistica dell’intera vicenda: nell’aprile 2014 Trifone va a vivere con Teresa e lascia l’appartamento che condivideva con Ruotolo; nel giugno-luglio Ruotolo manda i messaggi a Teresa; a fine 2014 Trifone scopre che a mandarli è lui e c’è lo scontro con Ruotolo; il 17 marzo 2015 vengono uccisi Trifone e Teresa. Rimane sospesa una domanda: perché Giosuè avrebbe mandato quei messaggi a Teresa, peraltro informando della cosa la sua fidanzata? E qui, dicono gli investigatori, entriamo in un campo difficile da sondare: «Si tratta di una dinamica di coppia certamente poco normale».
Fonte: corriere.it

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