In classifica sito Primo di categoria Blog d'argento Blog Gold 10000 punti ottenuti Super Blog Web

Translate

Cerca nel blog

venerdì 9 ottobre 2015

La doppia vita di Vito u’ Picciriddu “Comandavo Cosa Nostra da Venezia”


«Io appartengo a Cosa Nostra da sempre, mio padre Vincenzo è stato capo dell’Acquasanta per lungo tempo... Facevo una specie di doppia vita: da una parte gestivo la mia famiglia a Palermo e dall’altra vivevo nell’ambiente dei trasporti marittimi a Venezia, dove badavo alle imbarcazioni, controllavo olio e acqua e talvolta accompagnavo qualche gruppo di turisti nelle barche per la Canal Grande...». É la doppia vita di Vito Galatolo detto «u’ picciriddu», capomafia e operaio motoscafista, boss di Cosa Nostra in Sicilia e lavoratore regolare a Venezia. Proprio così, Galatolo gestiva la mafia dal Canal Grande. Cosa che non farà molto piacere ai veneziani, i quali non potevano immaginare di convivere con un boss di mafia, figlio di quel Vincenzo che fu padrino condannato all’ergastolo anche per gli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del giudice Rocco Chinnici.

Ma possono stare tranquilli perché il boss, trapiantato qualche anno fa a Mestre in regime di sorveglianza speciale, è dallo scorso dicembre un pentito e dunque non più in attività fra i canali lagunari. Galatolo, 42 anni, è il collaboratore di giustizia che ha rivelato i retroscena del progetto di attentato ad Antonino Di Matteo, il pm palermitano della trattativa Stato-mafia. Collaborazione accolta non proprio favorevolmente dal padre Vincenzo che dal carcere di Opera l’ha detto chiaro: «Quel cornuto ci sta rovinando tutti». Ed è proprio da pentito che Galatolo ha confessato le due facce della sua vita . Il sorprendente racconto è contenuto in tre verbali d’interrogatorio depositati a conclusione di un’indagine della procura di Venezia che lo riguarda da vicino, indagato com’è per alcune rapine commesse fra la terraferma veneziana e il Trevigiano con altri siciliani trasferiti al Nord. Davanti al pm Giovanni Zorzi, che si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per lui e altri otto, racconta perché scelse la città di San Marco.
«Mi sembrava una buona idea quella di trasferire la mia famiglia in un luogo diverso da Palermo, volevo dare un futuro migliore ai miei figli... Voglio anche precisare che dal 1996 sono stato in libertà solo tre anni». Il lavoro in laguna era una copertura. «Lo cercai più che altro per le esigenze della Sorveglianza speciale. Non ne avevo effettivamente bisogno in quanto ricevevo mensilmente parecchio denaro dalla mia famiglia mafiosa di Palermo e anche da un mio socio in quel di Udine, in quanto gestiva del denaro mio personale e di mio padre nonché del nostro gruppo criminale. Da questa persona, uomo d’onore e socio della mia famiglia, avevo circa 7.500 euro al mese più i soldi di cui necessitavo». Il vizio di Galatolo era il gioco d’azzardo. A Venezia non lo perse: «Pur essendo io un buon giocatore sono stato al Casinò non più di tre volte. Ho però sempre giocato nelle sale scommesse di Mestre, anche cifre consistenti. Potevo permettermelo perché ricevevo continuamente denaro da Palermo e da Udine... É dal 1992 che seguo gli affari della mia famiglia anche se sono stato formalmente affiliato solo nel corso del 2010: da allora sono capofamiglia dell’Acquasanta. Dopo la scarcerazione sono diventato capo del mandamento di Resuttana, che comprende anche le famiglie di Arenella e della Vergine Maria. Un ruolo che ho tenuto fino al momento del mio arresto del giugno 2014». Arresto in un appartamento di Mestre, dal quale è poi scaturita la collaborazione. Galatolo comandava dunque dal Nord il mandamento mafioso. «Io continuavo a gestire le vicende della mia famiglia di Palermo tramite altre persone, come mio suocero o come mio zio e mio cugino, entrambi uomini d’onore».
S’inventò manutentore di barche. «Cioè, Otello Novello (imprenditore dei trasporti e del turismo veneziano soprannominato il “Coco cinese”, ndr) cercava qualcuno e io mi proposi dicendo comunque che non lo avevo mai fatto. Lui mi spiegò il lavoro e io mi resi disponibile». Otello Novello sapeva del suo passato e della doppia vita? «Lui mi chiese conto del motivo di un arresto che avevo subito e io gli spiegai che si trattava di addebiti infondati. Novello accettò le mie spiegazioni.... Per Novello lavoravo dalle 8 a mezzogiorno». Dubbio del pm: c’era forse un interesse economico dietro il favore di Novello? «Non ho investito alcun tipo di entrate nelle sue ditte. Con lui il rapporto è sempre stato da lavoratore a datore di lavoro. La figlia di Otello ha anche aiutato mio figlio, prendendolo prima come tirocinante e poi come dipendente». Insomma, il rapporto con Venezia era diventato stretto e familiare. Intorno alla vita da operaio nascevano amicizie, frequentazioni, legami. «Ma questi miei conoscenti veneziani non sapevano nulla del mio ruolo in Cosa Nostra. Io ricambiavo la loro gentilezza e affetto facendo venire dalla Sicilia alcune specialità della mia terra». L’altra vita, quella da boss, correva invece su un diverso binario. Quello delle telefonate, dei messaggi, dei pizzini. «Talvolta sono venuti a trovarmi da Palermo delle persone con cui avevo dei rapporti di lavoro, erano della mia famiglia mafiosa...». Ultimo capitolo, le rapine. Prima dell’arresto Galatolo sarebbe riuscito a mettere insieme fra calli e campielli e la terraferma un gruppo di siciliani non proprio specchiati, fra i quali Maurizio Caponetto, fratello di un affiliato della famiglia mafiosa di Bagheria, emigrato anche lui al Nord. A tutti la procura contesta ora alcune rapine, commesse e tentate, in particolare a una sala scommesse.
«Io so di questi fatti per esserne stato informato direttamente dagli autori materiali, perché volevano consigli in proposito e perché mi è stato chiesto un parere circa la fattibilità e l’esecuzione degli stessi... La mia posizione era quella di chi lascia decidere: potevano fare quante rapine volevano». Dice di non aver partecipato ma fa nomi e cognomi degli altri, compreso Caponetto, il cui legale, Mauro Serpico, ha promesso battaglia. Ma è solo l’ultima pagina di questa storia nera che ha legato per alcuni anni Venezia a Palermo e che ora sembra avanzare lenta e crepuscolare, come una gondola a fine corsa.
Fonte: corriere.it

Nessun commento :

Posta un commento

Flag Counter motori di ricerca