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mercoledì 14 ottobre 2015

Stadera, il giallo del bar esploso Lo scoppio, Ivan e la fuga in Russia «Tre giorni e avrei venduto il bar»


Vendere tutto e trasferirsi in Russia. Vendere subito. Nonostante il bar fosse stato rilevato meno di un anno fa. E nonostante quelle dichiarazioni, rilasciate solo la scorsa primavera, nelle quali Ivan Baldi diceva di voler diventare un punto di riferimento per il quartiere, che nel suo Wi-fi café, a differenza di tutti gli altri locali dello Stadera, non avrebbe mai installato slot machines. Ma ora Ivan aveva fretta. Una voglia improvvisa di lasciarsi tutto alle spalle e andarsene in Russia, dove la sua compagna è nata e dove ancora vive la sua famiglia. E pazienza se Ivan, ragazzo nato e cresciuto tra via Palmieri, via Stadera e via Isimbardi, avrebbe lasciato a Milano amici e genitori. Una decisione presa nelle ultime settimane, quando ha pubblicato l’annuncio di vendita del bar di via Volvinio, 34. «Cessione lampo». Un elemento ritenuto anomalo dagli investigatori che ancora ieri hanno interrogato il 37enne in cerca di risposte sull’esplosione che lunedì sera ha distrutto il suo locale e solo per un caso non ha lasciato vittime sull’asfalto. «Avevo in programma un appuntamento con alcune persone interessate al bar, ci dovevamo incontrare giovedì. Ma tre giorni prima il locale è stato distrutto», ha raccontato il titolare. «La scorsa settimana ho incontrato due persone, ma la vendita non si è concretizzata». Agli amici aveva raccontato di essere «stufo», ma la decisone di trasferirsi è stata presa solo nell’ultimo periodo. Ma perché il bravo ragazzo dello Stadera, incensurato, senza ombre, impegnato per la legalità e contro il gioco d’azzardo, all’improvviso voleva abbandonare Milano e la sua vecchia vita? Durante i suoi colloqui con gli investigatori Ivan Baldi non avrebbe del tutto chiarito le sue ragioni. Ma più il tempo passa e più le indagini si concentrano sull’ipotesi di un atto doloso. A provocare l’esplosione alle 19.41 di lunedì sarebbe stato un attentato. I carabinieri della Rilievi e i tecnici del nucleo Nbcr dei vigili del fuoco hanno effettuato un nuovo, lunghissimo e approfondito sopralluogo in via Volvinio (dopo quello di lunedì, durato fino a tarda notte). Ma le prime indagini scientifiche non hanno dato una risposta certa. Non sono state trovate tracce di benzina (sequestrata una tanica da 3 litri nella spazzatura, ma non c’erano idrocarburi nel bar), nessun segno di altri liquidi infiammabili «comuni», né sono stati trovati inneschi o detonatori. L’unica certezza è che l’esplosione, perché di questo si è trattato, è partita da un angolo nel retro del locale. Sulle pareti si vedono i segni lasciati dalla detonazione. L’onda d’urto, riflessa dalle pareti dell’edificio, si è propagata verso le vetrine del locale, facendo sbalzare le serrande fino alla carreggiata opposta e distruggendo la fermata del tram della linea 15. L’ipotesi più accreditata (da Roma è atteso l’arrivo degli esperti del Nucleo investigativo antincendi), è che sia stato utilizzato un mix di sostanze esplosive liquide. Nel locale non c’erano tubazioni del gas, né bombole. L’inchiesta è affidata ai carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova insieme ai militari della compagnia Porta Magenta. Del caso s’è interessata anche il capo della Direzione distrettuale antimafia Ilda Boccassini. L’impegno degli inquirenti è stato massimo fin dalle prime battute delle indagini, anche perché per ritrovare un evento simile a Milano (se la natura dolosa sarà confermata) occorre tornare indietro di decenni. Le indagini si concentrano in più direzioni. Sotto esame il titolare Ivan Baldi, la sua vita privata e la situazione patrimoniale: nessun protesto, nessun problema con la società fondata insieme alla sorella Elena nel settembre 2014. Al momento dell’esplosione Baldi, che aveva chiuso alle 19.10, stava per andare a cena in un locale di via Medeghino, poco lontano. Bisogna capire se sia stato vittima di pressioni, e di che genere di pressioni. Si arriva così al gesto doloso. Ma chi poteva avere interesse a distruggere il locale e soprattutto a farlo in un modo così clamoroso, con il rischio di ferire numerosi passanti? Forse chi ha colpito ha preferito agire di giorno, appena dopo la chiusura del bar, anziché di notte. La sera, infatti, il portone che dà accesso al retro del locale, dove è stata trovata la porta con segni di forzatura, è quasi sempre chiuso. La terza pista riguarda il passato del Wi-fi café. Baldi ha comprato il bar nell’ottobre di un anno fa. Prima si chiamava Seven bar ed era intestato a Maria Tummolo, 58 anni, e alla figlia Anna Grifa, 21. Maria Tummolo è la madre di Michele e Costantino Grifa, entrambi in carcere per traffico di droga. I Grifa vivono tra il Gratosoglio e piazzale Abbiategrasso. Michele Grifa, in contatto con i clan calabresi di Buccinasco e Corsico, viene arrestato nel 2008 con 30 chili di cocaina. Nel 2013 i giudici lo condannano a 16 anni di carcere e la madre decide di cedere il bar. Il locale viene comprato da Ivan Baldi .

Fonte: corriere.it

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