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lunedì 27 luglio 2015

Che cos’è e come è nata la bolla cinese


Dopo il tonfo di inizio luglio, la Borsa cinese viveun’altra giornata da incubo. Nelle ultime settimane Pechino ha messo in campo tutte le armi che è riuscita a immaginare per cercare di contenere il crollo ma per ora non ha raggiunto nessun effetto duraturo.

Dove nasce la bolla?
Fino a giugno si è registrata un’impressionante crescita della Borsa cinese. In parte la corsa agli investimenti era stata il “sostituto monetario” davanti al crollo dei prezzi dell’immobiliare. La lotta alla corruzione del governo aveva poi impedito a quegli investitori con danaro non proprio pulitissimo di riversare milioni nel settore immobiliare e di riparare all’estero con grossi quantitativi di denaro. La liquidità, dunque, è rimasta in Cina, ma con meno sbocchi. A questo si era aggiunto lo stretto collegamento fra la Borsa di Shanghai e quella di Hong Kong, che lo scorso novembre aveva procurato un’euforia fra gli investitori cinesi e che si è rivelato capace di unire le due Borse sia nel bene che nel male.
La corsa agli investimenti
Insomma, mentre gli analisti finanziari mettevano in guardia da un’eccessiva separazione fra i “fondamentali” dell’economia cinese e la crescita della Borsa di Shanghai, tutti si buttavano in Borsa cercando di trarre vantaggi dalla sua corsa spericolata verso l’alto, decidendo che il governo non avrebbe mai permesso che le azioni calassero. Così, le borse di studio di mille studenti e le pensioni di mille pensionati sono state riversate nelle azioni di aziende praticamente ignote, mentre gli altri hanno preso a prestito, a qualunque tasso, denaro da immettere in tutta fretta nel mercato. Molti nuovi milionari sono nati in pochi mesi - ma ora, questi stessi investitori non istituzionali si ritrovano del tutto bruciati. 
L’effetto-domino sulle altre Borse asiatiche
Ora dopo un mese di cali, chi ancora non ha venduto vuole farlo al più presto, terrorizzato all’idea che i soldi presi a prestito siano ogni giorno più difficili da restituire. Pechino continua a enunciare nuove regole per bloccare l’emorragia: ha abbassato i tassi di interesse, richiesto alle aziende statali di non vendere “nemmeno un’azione”, ha promesso maggiore liquidità, obbligando le banche ad estendere prestiti, e ottenuto il sostegno della Banca Centrale cinese, la Bank of China. Per ora, tutto quello che è riuscita a fare è stato trascinare nella rovinosa caduta anche le altre Borse nelle vicinanze: quella di Hong Kong, prima di tutto, dal momento che chi non riesce più a vendere azioni cinesi a Shanghai cerca di sbarazzarsi almeno di quelle cinesi scambiate a Hong Kong o tramite Hong Kong. E anche Tokyo e Seul risentono gravemente dei postumi della sbronza cinese.
Fonte: lastampa.it

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